Politica

Il testamento biologico e i falsi paladini della "libera scelta"

Spesso l'attuale dibattito sul cosiddetto testamento biologico viene presentato come un confronto tra due schieramenti ideologici contrapposti, tra coloro da un lato che vogliono a tutti i costi difendere la sacralità della vita, persino nella forma della nuda vita biologica e contro la volontà della persona, e coloro che insistono invece sul criterio dell'autodeterminazione, che potrebbe spingersi sino al punto estremo di considerare lecita l'eutanasia.
Non tutti quelli che sostengono questa seconda posizione giungono a questa conclusione estrema e si fermano ad un principio che trova ormai ampio riconoscimento giuridico in documenti internazionali, come la Convenzione di Oviedo (art.5), la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art.2) e la Costituzione italiana (art. 32), vale a dire quello che afferma che qualsiasi intervento in ambito sanitario non possa essere effettuato se non dopo che il paziente abbia dato il suo consenso libero e informato. E di conseguenza sulla base di questo riconoscimento si ammette che la persona interessata possa, in qualsiasi momento, ritirare il proprio consenso, rifiutando così le terapie cui è sottoposta, anche nel caso in cui si tratti di terapie venendo meno le quali, viene pure meno la vita del paziente. Tutto ciò è oggi largamente condiviso e, bisogna pur ammetterlo, non ha a che fare con il riconoscimento del diritto ad essere uccisi dal medico con una iniezione letale. Il rifiuto delle terapie, anche quando abbia conseguenze letali, dovrebbe (pur essendoci zone grigie di confine) essere tenuto distinto dall'eutanasia, da una condotta diretta e attiva volta a cagionare la morte del paziente.
Ebbene, la maggior parte di coloro che contestano il disegno di legge sul testamento biologico vorrebbero in fondo che questi principi, che già valgono per le persone capaci di intendere e di volere, fossero semplicemente estesi per il tramite delle dichiarazioni anticipate anche a quelle situazioni in cui le persone non siano più in grado di prendere decisioni autonome.
Ma siamo proprio sicuri che gli attuali paladini della libera scelta siano così coerenti nella loro argomentazione? Un punto del testamento biologico di cui nessuno sinora ha parlato, perché - diciamolo con franchezza - torna comodo a tutti tenerlo nascosto, è connesso all'art. 1 del disegno di legge in cui si definisce la morte rinviando ad una legge del 1993 che per la prima volta introduceva in Italia una unica definizione di morte: si muore quando il cervello ha perso irreversibilmente le sue funzioni. Stiamo discutendo da settimane se sia opportuno o meno rispettare la libertà della scelta di staccare un sondino nasogastrico dopo anni di permanenza in stato vegetativo, ma nessuno spende una parola sul fatto che per legge stacchiamo il respiratore ad un paziente in stato di morte cerebrale dopo solo sei ore di osservazione.
Perché? La ragione è semplice: c'è un tremendo bisogno di organi da trapiantare nelle migliori condizioni e meno tempo si aspetta per dichiarare morto un paziente e meglio è. Come mai gli Eco, i Rodotà, gli Zagrebelsky, i Veronesi, tutti i maîtres penseurs di Repubblica, sostengono con tanto vigore la libera scelta del paziente, ma quando si tratta del trapianto di organi sono favorevoli al consenso presunto o addirittura per solidarietà, alla nazionalizzazione del cadavere? Se ho il diritto di scegliere la mia morte, dovrei poter scegliere attraverso il testamento biologico anche la «vecchia» morte cardiaca (quella dei nostri padri, ancora così vicina alla sensibilità di molti) e lasciare quella nuova (la morte del cervello) a coloro che per libera e rispettabilissima scelta intendono donare i propri organi anche quando il cuore batte ancora. Stanno già raccogliendo le firme per un referendum contro una legge che non c'è ancora per consentire il rispetto dell'autodeterminazione del paziente, ma il test d'apnea in finis vitae rimarrà obbligatorio per tutti, che siano donatori o non donatori, adulti o bambini.

Questo test consiste nel disconnettere il paziente dal respiratore e potrebbe essere dannoso, perché si causa una (sia pur temporanea) insufficienza respiratoria.
Se la persona vuole donare i suoi organi, liberissima di autorizzare un tale test, ma se è contraria ai trapianti, perché non dovrebbe esserle garantita la possibiltà di dichiarare nel testamento biologico di non volervi essere sottoposta?

Commenti