Teatro

Come ti esporto il "Va', pensiero". Chailly e Verdi infiammano Parigi

Agli Champs-Élysées grande successo dell'Orchestra della Scala. Meyer vuole restare sovrintendente a Milano: "Io so come riempire i teatri"

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Un'esplosione di applausi, più il sigillo di un «Viva Verdi» non più acrostico risorgimentale (V-ittorio E-manuele R-e d'I-talia) ma apprezzamento per il musicista più tricolore che vi sia e per l'interpretazione d'autore. È la risposta degli spettatori del Théâtre des Champs-Elysées di Parigi alla serata finale, martedì, della tournée del Coro e Orchestra della Scala diretti da Riccardo Chailly: 220 musicisti in viaggio dal 31 agosto, 8 concerti fra Italia, Austria, Germania, Olanda, Danimarca, Lussemburgo e appunto Francia, una cordata di sponsor a sostegno di trasferte dai costi ormai proibitivi. Successi, fatiche, orgoglio nazionale in ascesa, conferme che in quel suono d'opera italiana pulsa il cuore scaligero, una tradizione secolare dunque vincente anche per l'export. In programma c'erano sinfonie e cori da opere di Verdi, appena incisi per la Decca. «Per queste pagine non esiste l'assuefazione. È stata una tournée faticosa ma alla fine vince sempre lui, Verdi», il commento a caldo di Chailly.

«È una priorità la presenza della Scala all'estero tramite queste tournée, coproduzioni, la Scala Tv» osserva il sovrintendente Dominique Meyer per presentare la prossima stagione e per comunicare a quella italiana che è fermamente deciso a non rinunciare al ruolo anche oltre il compimento, nel 2025, dei 70 anni: il limite di operatività di un sovrintendente secondo una legge varata a maggio. Fatta la legge, fatto il garbuglio grazie al quale Meyer - pare - potrebbe procrastinare la sua presenza milanese, cosa che desidera fortemente. «So riempire i teatri» è l'osservazione con qualche ora di anticipo rispetto alla notizia che Tribunale di Napoli chiede la reintegrazione del collega Stéphane Lissner nell'incarico di sovrintendente e direttore del teatro partenopeo dal quale era stato allontanato applicando la legge di cui sopra. Puntuale, ieri, la replica di Giuseppe Sala, sindaco di Milano e dunque presidente della Fondazione Scala: «l'obiettivo è trovare fra tutti i soci fondatori consenso sul nome, che sia Meyer o che sia un altro. Da un lato c'è l'incandidabilità che potrebbe non essere applicabile alla Scala e dall'altro c'è la volontà dei soci di sostenere un nome o l'altro. Ai tempi avevo prospettato una possibilità che era quella di confermare Meyer fino alla fine del mio mandato, nel 2026. Credo che si arrivi a prendere una decisione all'inizio dell'anno prossimo».

Quello della Scala è un marchio forte, però va promosso. Dal settembre 2020 Meyer con la sua squadra raggiunge alcune capitali europee, più NY e Washington, per presentare la stagione alla stampa estera. Con i tour operator si costruiscono pacchetti di permanenze sotto la Madonnina tra spettacoli alla Scala e visite a musei. L'esito è quello di una Scala praticamente sold out in settembre e ottobre, con un 30% del pubblico che è straniero e che contribuisce al 40% del botteghino. Gli Americani sono i più presenti, il dollaro è forte.

In tema di allontanamenti e querelle. Meyer, cresciuto a pane e diplomazia (esercitata professionalmente dal babbo), spiega che «tutti i cavalli di razza sono nella scuderia. Benvenuto Muti, Chailly, Gatti», direttori d'orchestra tutti in cartellone nonostante gli antagonismi e qualche dissapore, ma pure sgambetto. Ricuciti anche gli strappi con i sindacati che puntualmente rivendicano diritti minacciando scioperi specie in odore di prime. Viene ricordata la svolta verde e digitale del teatro, e la mancata svolta, invece, della burocrazia made in Italy: «arrivano sempre nuove regole con inutili complicazioni», lamenta Meyer. L'opera non è morta o morente reclama il manager, «bisogna solo prendere le misure giuste, facilitando anzitutto l'accesso». Ergo nuove formule di abbonamenti, in linea coi tempi e programmazione stuzzicante, ma in quest'ultimo caso si entra nel campo dei gusti, degli approcci, delle molteplici richieste del pubblico che anche alla Scala ha cambiato pelle per cui la signora i cui nonni, bisnonni e trisavoli erano palchettisti scaligeri mal tollera aver per vicina di poltrona la signora della Florida che sbaglia l'applauso. Questi sono i tempi caro foyer che t'inalberi per l'ennesima ripresa di una Boheme anni Sessanta.

Piace, vende, e il teatro prospera.

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