Cronache

Togliatti era «il Migliore» anche come chierichetto

Che Palmiro Togliatti sia nato a Genova il 26 marzo del 1893 è abbastanza risaputo. Però, che il nome Palmiro gli sia stato attribuito perché il 26 marzo era la Domenica delle Palme, è meno noto. Come rimane quasi sconosciuta la collocazione abitativa in cui venne alla luce: al numero 8 di via Albergo dei Poveri. A poca distanza dal Convitto Nazionale (dove sembrerebbe che qui, in codesta istituzione, abbiano ricevuto i primi insegnamenti Giuseppe Mazzini e, dalla scritta di una lapide, i Fratelli Ruffini), luogo in cui il padre, Antonio Togliatti, svolgeva funzioni amministrative.
Invece, sempre di Palmiro Togliatti è rimasto del tutto celato l’Atto del Battesimo. Infatti, venne Battezzato, subito, il giorno dopo quello della nascita: lunedì 27 marzo 1893, nella vicina Parrocchia Nostra Signora del Carmine. E la celebrazione venne officiata dal Priore Antonio Campanella.
E di Togliatti si è, altrettanto, sempre ignorato che a Torino, nella domenica del 16 luglio del 1905, un mese dopo che aveva ottenuto la Licenza Elementare (prima della Riforma scolastica di Gentile le elementari duravano 6 anni), la sua famiglia gli fece fare la Prima Comunione al mattino e la Cresima al pomeriggio. E a celebrare questi sacramenti fu il Cardinale Arcivescovo di Torino, Agostino Richelmy. È da tenere conto - come informazione curiosa - che la Chiesa in cui si celebrarono questi avvenimenti, era consacrata a Nostra Signora del Carmine, come quella di Genova. E che, inoltre, in quell’anno, la ricorrenza della Festa della Madonna del Carmine (il 16 luglio) cadeva di domenica. Anche per questo motivo non è da escludere che ai genitori non fosse sfuggita l’opportunità di attenersi alla coincidenza, in virtù, proprio, della crescita del figlio. Come un sostegno spirituale.
In più l’edificio ecclesiastico rimaneva incorporato con lo stabile del Convitto Nazionale Umberto I, dove il padre era stato trasferito, da poco, da Nova, sempre con mansioni di economo.
Poi, del bimbetto Palmiro, si è potuto apprendere ancora che i genitori, in occasione di una cerimonia religiosa - pure questa notizia non è mai stata divulgata - fecero in modo di avvicinarlo al Salesiano Don Michele Rua (oggi Beato) - e che fu il successore di Don Bosco ed ebbe, tra l’altro, grande merito nell’ampiamento costruttivo dell’Istituto Salesiano di Don Bosco sito a Sampierdarena - affinché riuscisse di baciargli le mani. Su questo specifico fatto è lo stesso Togliatti a raccontare, nella più che nota intervista che gli fecero i coniugi Ferrara per la rivista «Rinascita» nel 1952 e, di seguito, nel 1953, pubblicata in volume: «I miei genitori erano due persone intelligenti e capaci, ma alla fine schiacciate dal peso della esistenza e dalle sue difficoltà... Mio padre aveva sempre mantenuto relazioni con i Salesiani... Studiò con loro in Seminario per un certo tempo... E loro non abbandonarono mai gli ex allievi... Per questo motivo venivano spesso invitati in trattenimenti ricreativi, feste, merende... Mia madre, Teresa Viale, piemontese pure lei della provincia di Torino, venne adottata da una famiglia benestante che le fece fare, in un Collegio gestito dalle suore, le scuole per Maestra... Così, quel giorno, incoraggiato particolarmente da mia madre fui ammesso a baciare la mano a Don Rua...».
Da queste affermazioni brevi di Togliatti e, per quanto se ne sappia, mai più espresse (soltanto nella stesura della sua «autobiografia», custodita nell’Archivio del Gramsci di Roma, si può presumere che tali frammenti esistenziali sulle sue origini siano stati riproposti) avremmo potuto essere indotti, per ovvietà, ad ipotizzare che l’ambiente famigliare di osservanza religiosa in cui fu cresciuto, avrebbe potuto influenzarlo, non poco, nella sua formazione ideale.
Non andò proprio così.
Anche su questo aspetto della sua vita c’è da registrare - purtroppo - contraddizione. Negli in cui il giovane Togliatti frequenta sia il Ginnasio-Liceo e, in seguito, l’Università non vi sono tracce o riferimenti degni di attenzione nei riguardi della Chiesa. Anzi!
Nei suoi studi sembra che la religione non rappresenti nessun motivo culturale di attrazione. Poi, in qualità di giovane socialista, vi è da annotare, addirittura, una fase di critica nei confronti del Papato, per avere assunto posizioni antimoderniste, ed esplicite valutazioni negative per la Chiesa che nel passato ebbe reazioni ostili verso il Risorgimento. Però, da parte di Togliatti, tutto ciò veniva espresso senza livore antireligioso, come, in quel periodo, era facile riscontrare.
Tra le altre cose, non bisogna trascurare di puntualizzare che Torino era nei primi decenni del ’900 una delle città più rappresentative per la diffusione di idee rivoluzionarie di tipo socialista, comunista, anarchico e che venivano sostenute da un movimento operaio molto politicizzato. In più, in questa città si era sviluppato anche un forte pensiero Positivista. Consisteva di un indirizzo filosofico dalla tendenza a privilegiare le scienze naturali quali unica fonte legittima di conoscenza. Ardigò, Loria, Lombroso - per fare qualche nome - gravitarono ed ebbero innumerevoli seguaci in questa Università. Dove, nel 1916, Togliatti si laureò a pieni voti in Giurisprudenza e nel 1919, quando interruppe la frequenza all’Università, ormai, assorbito dagli impegni politici, gli sarebbero mancati un paio di altri esami per conseguire un secondo dottorato: questa volta in Filosofia.
Se si esclude uno scritto elaborato nel 1929, in occasione dei «Patti Lateranensi», dal titolo: «Fine della questione romana», dove Togliatti, tra l’altro, riprende le sue critiche al Vaticano, accusandolo di avere ritardato all’Italia la costruzione di basi sociali, rivendicate nel periodo del Risorgimento: in tutta la sua attività politica, come dirigente della Terza Internazionale, non si riesce, in riferimento alla Chiesa, a rintracciare altro. E neppure quando si impegnò a fare delle analisi sui Partiti in Italia, tra cui incluse le «lezioni sul fascismo», (libro riedito di recente da Einaudi) che egli tenne nel 1935, in un Istituto di Mosca, dove venivano preparati gli attivisti del PCI o «rivoluzionari di professione»: non si rilevano spunti per il movimento cattolico e tanto meno giudizi sull’operato di Pio XI.
Peccato. Avrebbe potuto essere l’occasione opportuna per menzionare - in quell’ampio contesto che egli fece sui Partiti italiani - don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare (dei cattolici) nel 1919 e che il Fascismo, conquistato il potere, costrinse ad abbandonare il Paese. Un apprezzamento sarebbe stato più che sufficiente. Per Togliatti avrebbe potuto servire da ipoteca a suo favore. Avrebbe potuto essere utile come presupposto politico, nel dopoguerra, quando - nel suo rapporto con i cattolici - veniva accusato, erroneamente, di doppiezza.
Questa sua mancanza di sensibilità (o di avvedutezza) verso il movimento cattolico e nei confronti dell’ideatore del Partito dei cattolici, fu un errore grave. E rimane persino impossibile constatare che a una personalità così attenta alla realtà, come la sua, fosse sfuggita quella occasione. E pensare che nel PCI si era già ragionato molto e in modo critico sulle condizioni che resero possibile la vittoria del Fascismo in Italia. E le cause furono riscontrate nella lacerazione profonda che colpì lo Stato borghese, nelle divisioni politiche esistenti tra i partiti dell’antifascismo e nella sottovalutazione che tutti questi ebbero per il movimento cattolico in generale.
E Gramsci, nell’Ordine Nuovo, del marzo 1920, con anticipazione premoniva: «...In Italia, a Roma, c’è il Vaticano, c’è il Papa; lo Stato liberale ha dovuto trovare un sistema di equilibrio con la potenza spirituale della Chiesa, lo Stato operato dovrà anch’esso trovare un sistema di equilibrio».
I ritardi del movimento operaio italiano e in particolare del vecchio Partito Socialista nell’intendere l’esistenza e la funzione cattolica, come uno dei problemi politici centrali del nostro paese, furono determinanti per la conseguente sconfitta.
Questi limiti continuarono a ripercuotersi in Togliatti?
Oppure, la visione in prospettiva sui prossimi «Fronti popolari» (siamo alla metà del 1935), che poi si realizzarono in Francia e in Spagna, avrebbe offuscato la realtà italiana?
In Togliatti il salto di qualità - il suo predisporsi in senso favorevole verso i cattolici e di riflesso per la Chiesa - avvenne nel marzo del 1944, quando rientrò, dopo 18 anni, in Italia.
Togliatti ricuperò presto. Comprese immediatamente il ruolo che la Democrazia Cristiana - in qualità di erede del precedente Partito Popolare di Sturzo - esercitava e avrebbe esercitato di seguito tra i contadini e ceti medi nel Paese.
Impose, prima che agli altri, al suo Partito di riconoscere che la maggioranza dei cattolici aveva osteggiato la guerra e il Fascismo. E che con l’8 settembre del 1943, i cattolici avevano assunto un impegno attivo nella Resistenza.
Ritengo non sia il caso di menzionare Massimo Caprara - che di Togliatti è stato segretario per circa vent’anni - per averci fatto sapere, dai suoi libri, quante volte il «Migliore» ebbe, in maniera riservata, colloqui e contatti su questioni politiche con prelati, con cardinali e con esponenti cattolici.
Di recente Giuseppe Bedeschi, su il Giornale, ha descritto, in modo egregio, il rapporto di collaborazione che, nella fase della Costituente, fu tenuto tra Togliatti e Dossetti.
Infatti, l’articolo 7 della Costituzione, che ripropone il rapporto tra Stato e Chiesa, fu voluto e sostenuto con decisione soprattutto da Togliatti, che fece tesoro di quei contatti. Su questo aspetto ci furono all’Assemblea Costituente discussioni infervorate. I rappresentanti dei partiti laici (socialista, liberale, repubblicano), non cogliendo l’importanza, l’osteggiarono. Del comportamento di Togliatti si può dire che, tutt’ora, rimane un esempio fulgido della sua lungimiranza politica.
Comunque, dagli anni del primo dopoguerra, la «questione cattolica» per Togliatti diventerà una riflessione costante del suo pensiero, sino alle sue espressioni di alto contenuto morale e ideale, che ebbe modo di esprimere nella Conferenza di Bergamo, il 20 marzo 1963, dal titolo: «Il destino dell’uomo».
Oggi, rileggere ciò che Togliatti disse in quella Conferenza (sono trascorsi 47 anni), emerge l’impressione che fosse stato animato da un tentativo - mai azzardato - di abbozzare, nei confronti della Religione una critica al marxismo. Cercando di liberarlo dalle forme del materialismo volgare e dalle scorie illuministiche.
Egli si pronuncia: «...Avremmo dovuto comprendere prima - sembra dire - che i grandi fenomeni della coscienza umana, come la Religione, hanno e non possono non avere una profonda radice, una ragione d’essere nella vita stessa dell’uomo e per questo non si può liquidare (la Religione) per mezzo di processi razionali...».
Togliatti si colloca in modo favorevole rispetto alla sfera del credente. Come volesse farsi una autocritica per non avere del tutto compreso i valori spirituali in cui si è formato il credente e attraverso la nota distinzione tra l’errore e l’errante, aggiunge: «...La società moderna avvilisce sempre più l’uomo... Per questo ha ragione il credente nel constatare che la fede per il sacro si ristringe... Subisce, sopraffatta dalla molteplicità dei prodotti effimeri...».
Abbiamo a che fare con un Togliatti diverso, da quanto ci risulta?
E per ipotesi, da noi formulata, chissà se in lui - in questa esposizione così impegnativa - non affiorassero, da anni lontani del suo vissuto di fanciullo, nozioni e citazioni di pagine del Catechismo di Pio X, che gli venivano spiegate amorevolmente da sua madre?
Ancora: «...Siamo contro allo Stato confessionale, così siamo contro l’ateismo di Stato, cioè siamo contrari a che lo Stato attribuisca un qualsiasi privilegio ad una ideologia, o filosofica, o corrente culturale ed artistica ai danni di altri...».
Di certo, affermazioni così esplicite verso l’Urss - senza nominarla - qualche anno prima sarebbero state impensabili.
Nel 1963 siamo nel tempo del Pontificato di Papa Giovanni XXIII, si è aperto il Concilio Vaticano II e già l’Enciclica «Mater et magistra», espone lo sforzo della Chiesa per adeguarsi al Mondo. E Togliatti non trascura di elogiare alcuni dei più rappresentativi uomini del pensiero cristiano. I quali hanno contribuito alla promozione di tale Concilio, come: Maritain, Maurier, Theilard de Chardin... e, per l’occasione, li assimila ai fondatori del Cristianesimo delle origini.
Per cui si ritiene che in Togliatti potrebbero esserci - da un esame appropriato sulla sua personalità - elementi di indagine aggiuntivi. Non trascurando la tradizione cattolica che ricevette dalla famiglia.
Gli anni della sua infanzia e della prima gioventù - al momento - non sono stati affrontati dagli storici con interesse completo. All’infuori di alcune date anagrafiche e di un elenco della peregrinazione che fu costretto a fare da scuola a scuola, dovendo seguire gli spostamenti del padre, altro di diverso non si dice.
È mancata soprattutto - a mio parere - una analisi psicologica su di lui, conforme al periodo che intercorre dalla fanciullezza alla vigilia dell’età adulta. Il giovane Togliatti visse in quegli anni specifici - nonostante avesse sempre studiato in scuole dello Stato - all’insegna di una educazione cattolica osservante impartita dalla famiglia. In Urss poi, quella sua tradizione religiosa - per ragioni anche di opportunità politica e di sopravvivenza, rimase del tutto soffocata.
Però è anche vero che non è del tutto conseguenziale presumere che chi in gioventù abbia frequentato ambienti religiosi (Istituti o famiglia), continui anche dopo a mantenersi credente per il resto della vita.
Comunque per noi i suoi ripetuti interessi per i cattolici, le sue riflessioni e continui studi e le letture che egli fece sul movimento cattolico e sulla Chiesa - dagli anni della Costituente, al giorno della sua morte, avvenuta il 21 agosto 1964 - rappresentano una novità che scavalca e va oltre alle necessità politiche. Per questo rimaniamo convinti che in tutto ciò vi fosse stata pure una necessità interiore. Una tendenza che giaceva imbrigliata dal tempo e che egli riuscì, finalmente, a rimuovere e, in parte, a riscattare.


Per queste ragioni l’arco dei suoi interessi sui cattolici andrebbe riveduto anche sotto questa nuova luce che fece riemergere un risveglio liberatorio.
Le nostre sono soltanto delle intuizioni?

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