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da Milano

Aveva cominciato all’inizio di luglio con un attacco poco cavalleresco al ministro della Pubblica istruzione, Mariastella Gelmini, rea di presiedere un dicastero sul quale non avrebbe competenze perché «non ha mai fatto l’insegnante». Poi, con il passare dei giorni, in una climax ascendente nei toni e sempre più dettagliata nel merito, il Senatùr è tornato a più riprese sul tema istruzione. Ed eccola delineata, la scuola formato Lega: insegnanti del Nord al Nord, ancora meglio se nelle proprie regioni d’origine, e programmi incentrati sulla storia locale. Un modello che in realtà si sta già sperimentando, come mostra l’esempio della scuola Bosina, voluta dal ministro delle Riforme e da sua moglie Manuela in provincia di Varese, dove ai programmi ministeriali si affianca l’insegnamento delle tradizioni e dell’identità locali.
Una riforma, secondo Umberto Bossi, che è anche un atto di giustizia. Sia perché gli insegnanti meridionali toglierebbero lavoro a quelli del settentrione, sia perché «è una vergogna vedere come vengono fatti gli esami di Stato con insegnanti ignoranti della cultura veneta o lombarda che non sono del Nord e che fregano i nostri ragazzi, che guai a loro se fanno sapere mentre sono esaminati che simpatizzano per la Lega». Una scuola, quella del futuro, che recupererà le tradizioni e la storia locale, in nome di un federalismo tout court, che allevi i padani fin da piccoli ad essere coscienti e orgogliosi delle proprie origini e che prevede l’obbligatorietà di essere originari del Nord per insegnare negli istituti settentrionali.
La riforma, però, avrà anche lo scopo di riequilibrare la sperequazione tra docenti del Nord e del Sud. Nella situazione attuale «gli insegnanti meridionali tolgono lavoro a quelli del Nord», dice Bossi. Effettivamente, secondo la replica del ministero dell’Istruzione, fra gli aspiranti docenti, due su tre sono meridionali, e così determinati a voler entrare nella professione che, in barba a tutte le resistenze verso la mobilità, sono anche disponibili a trasferirsi, magari al settentrione. I dati evidenziano nelle graduatorie una crescita della percentuale di iscritti d’origine meridionale: dal 66,4% (2006) al 67,5% (2007). Ma non basta.

Di recente la Banca d’Italia ha rilevato che al Sud gli insegnanti sono in genere più vecchi, meno istruiti e con voti di laurea o di diploma inferiori a quelli dei loro colleghi che operano nel resto del Paese.
Insomma, pare che i presupposti per una riforma federalista della scuola ci siano tutti, al di là delle facili polemiche.

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