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In Tunisia il rischio fondamentalista

Infiltrata dai fanatici del Corano la marcia sulla capitale per chiedere un governo senza uomini vicini a Ben Ali. E le prossime elezioni libere potrebbero vedere il successo degli islamisti

In Tunisia il rischio fondamentalista

Il telefono del premier tunisino Mohammed Ghannouchi di questi tempi è perennemente occupato. Lo chiamano tutti, a tutte le ore. Il suo omologo francese François Fillon per promettergli «sostegno ed appoggio». Il segretario di Stato americano Hillary Clinton per garantirgli solidarietà e auspicare «un’autentica transizione verso una vera democrazia». Dietro quegli scambi di convenevoli si nasconde la voglia di capire se quel premier sopravvissuto al capo Ben Ali sia in grado di durare. E soprattutto se sia in grado di contrastare l’imminente spallata fondamentalista. Una spallata che rischia di spazzar via assieme al premier tutta quella “vecchia guardia” considerata l’ultima diga, la barriera laica indispensabile per impedire il sopravvento dei movimenti islamici.
L’illusione di una rivoluzione sociale - impostasi nella prima fase della rivolta quando le influenze islamiche sembravano assenti - si sta rapidamente sgretolando. Venerdì le moschee di Tunisi erano gremite di folle ansiose di ascoltare i sermoni in onore dei 78 morti della rivoluzione promossi da semplici caduti a santi “martiri della rivoluzione”. Non è un dettaglio. Non è una variazione lessicale di poco conto. L’uscita allo scoperto dei predicatori, l’utilizzo di vocaboli fino a ieri accuratamente evitati segnala la caduta delle rigorose e spietate barriere repressive e l’imminente riemergere dell’ondata islamista. Un’ondata che solo gli illusi potevano pensare fosse stata cancellata e sradicata dalle misure di contenimento imposte negli ultimi 20 anni. In fondo alle elezioni del 1989, nell’ultima consultazione elettorale considerata vagamente libera, il partito islamista Al Nahda conquistò, nonostante i brogli governativi, quasi il 20 per cento dei voti. A detta di molti osservatori quel consenso non è scomparso. Schiacciato da vent’anni di repressione ha semplicemente abbassato la testa, scelto il silenzio e la clandestinità in attesa di tempi migliori. L’atto di rinascita più significativo da questo punto di vista è la riapertura della moschea situata all’interno del complesso universitario di Tunis El Manar. Interdetta al pubblico dal 2001 quando venne definita, a torto o ragione, una base dell’integralismo militante la moschea è stata rimessa in funzione venerdì da un gruppetto di volontari.
Tra di loro l’inviato di Le Monde sul posto non tarda a scovare un tale Mahdi Boukra, (pseudonimo inventato sul campo, fa notare il giornalista) esponente di «un gruppo di tunisini arrestati nel 2004 intorno a Firenze prima di essere rilasciati e poi espulsi». Si tratta con tutta probabilità di uno dei quattro tunisini arrestati nel 2004 assieme a Mahamri Rashid, l'imam algerino della moschea fiorentina di Sorgane accusato a quel tempo di gestire nel nostro Paese una struttura per il reclutamento di aspiranti kamikaze destinati all’Irak. A far capire meglio come la pensi il gruppetto di militanti impossessatisi della moschea universitaria di Tunisi contribuiscono le dichiarazioni della 43enne Sofia, che spiega all’inviato di Le Monde la necessità di sottrarre allo Stato il controllo delle leggi. «La legge si deve ispirare al Corano... la circolare 108 che impedisce di vestire la hijab dev’essere abrogata». Parole e tendenze simili riecheggiano tra le fila della “marcia della libertà”, la manifestazione partita dalla regione rurale di Sidi Bouzid - focolaio della rivolta - e diretta a Tunisi per chiedere le dimissioni di tutti i ministri coinvolti con il vecchio regime. I militanti islamisti con il Corano in mano ne hanno assunto il controllo e non esitano a definirla «l’autentica continuazione» della rivoluzione.

Una rivoluzione da portar a termine abbattendo quello che Rachid Ghannouchi, capo in esilio a Londra di Al Nahda, liquida semplicemente come «la continuazione della vecchia era».

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