Cronache

TUTTI GLI «ADOLFI» IN 60 ANNI DI RICHIESTE DI MANETTE

Il record di Citaristi: i magistrati hanno provato a mandarlo in cella dieci volte

(...) della nuova legislatura: «È mantenuta all’ordine del giorno la seguente richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, avanzata da parlamentari, congiuntamente agli atti del relativo procedimento, affinchè la Camera dichiari se i fatti per i quali si procede concernano o meno opinioni espresse o voti dati da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, nell’ambito di un procedimento penale (tribunale di Vicenza) iniziato nei confronti di alcuni deputati all’epoca dei fatti, fra i quali Giacomo Chiappori». La formula è soft, la pena massima per il reato contestato a Chiappori è hard: ergastolo.
Chiaro che, quando vedono i timbri imperiesi, alla giunta per le autorizzazioni di Montecitorio, sgranano gli occhi. Stavolta, di più. Perchè è stata chiesta l’autorizzazione all’arresto di Vittorio Adolfo, neodeputato dell’Udc, che il gip ha inoltrato nei giorni scorsi dopo qualche tempo di riflessione. Noi, su queste pagine, seguiremo passo per passo la sorte di Adolfo. Perchè la richiesta di arresto di un deputato è quanto di più forte possa esserci, visto che se ne sono contate solo ottantacinque dalla prima legislatura ad oggi, considerando però quelle plurime a carico dello stesso deputato o senatore (in totale i parlamentari interessati sono poco più di quaranta), quarantacinque solo nell’undicesima legislatura, quella di Tangentopoli. Ed è una richiesta talmente forte da essere disciplinata nel più specifico dei modi possibili dalla Costituzione, secondo comma della nuova versione dell’articolo 68: «Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di compiere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza». Precisazione importante: fino al 14 dicembre 1993, l’autorizzazione all’arresto serviva anche per le sentenze definitive.
Visto che Adolfo non è in nessuna delle due condizioni post 1993, ecco che la Camera dovrà esprimersi. E, in attesa di raccontarvi tutto l’Adolfo minuto per minuto, ecco «tutti gli adolfi minuto per minuto», rigorosamente con la minuscola e le virgolette. Cioè tutti i parlamentari che, prima del neodeputato imperiese dell’Udc, sono incappati nella richiesta di arresto, anche per verificare la gamma dei reati contestati. Con qualche istruzione: non agitarsi prima dell’uso. E, soprattutto, pazienza. È pesante da leggere, ma sono brandelli d’Italia.
A partire dai quattro deputati per i quali l’aula di Montecitorio ha concesso il via libera ai magistrati: il comunista Francesco Moranino, negli anni Cinquanta, fu raggiunto da una richiesta di autorizzazione all’arresto per aver ordinato da comandante partigiano della Cinquantesima brigata, nel 1945, la fucilazione di sette persone. La Camera, ovviamente, votò a favore dell’arresto, ma il Pci favorì la fuga di Moranino a Praga, dove rimase (nel frattempo la Camera rivotò per l’arresto, ma vanamente) fino alla grazia di Giuseppe Saragat. Si disse anche che il partito comunista chiese esplicitamente la clemenza in cambio dei voti per l’elezione al Quirinale del leader socialdemocratico.
Il 26 giugno 1975 la Camera, invece, negò l’arresto per Sandro Saccucci, deputato missino. Arresto poi concesso alla seconda richiesta. Saccucci era accusato dell’omicidio di Luigi Di Rosa a Sezze Romano e per cospirazione politica e istigazione all’insurrezione armata per il cosiddetto “golpe Borghese“. Anche per lui, una fuga: prima a Londra e poi in Argentina. L’unico a finire effettivamente in carcere, nella decima legislatura, fu l’altro missino Massimo Abbatangelo, per violazione delle disposizioni sulle armi nell’attentato del 1970 contro una sezione comunista a Napoli Fuorigrotta. Ma una seconda richiesta di arresto per Abbatangelo fu bocciata nel 1990, sei anni dopo la prima. E sia Saccucci che Abbatangelo vennero poi assolti.
A chiudere il poker di arrestandi è stato, nella nona legislatura, Toni Negri, per cui la Camera concesse l’autorizzazione all’arresto nel settembre 1983, ma poi ne negò una seconda nel 1985. Il deputato radicale era accusato per il processo “Sette aprile“ e per il tentativo di evasione dal carcere di Perugia di due detenuti. Anche in quel caso, come per Moranino e Saccucci, Negri evitò l’arresto fuggendo a Parigi, rientrando in Italia (e in carcere) solo alcuni anni dopo.
Tutte respinte le altre richieste. Attraverso le quali facciamo un rapido viaggio, che parte proprio da Montecitorio. Nella seconda legislatura i magistrati chiesero di arrestare gli onorevoli Gorreri e Cavallotti; nella quarta Dietl; nella sesta Frau e Ippolito; nella nona Manna. Nell’undicesima, quella di Tangentopoli, arrivarono alla Camera addirittura 28 richieste di arresto. Ma la Camera ne votò (bocciandole) solo 13, restituendo ai magistrati le altre, dopo la modifica dell’articolo 68 della Costituzione. Si votò per Culicchia, Manti, Nucara, Tabacci, Di Giuseppe, Romano, Rotiroti, Fortunato, Formica, Borgia, De Lorenzo e Giulio Di Donato, poi arrestato dopo la fine del suo mandato. Nella tredicesima legislatura, si votò contro gli arresti di tre azzurri (Cesare Previti, Marcello Dell’Utri e Gaspare Giudice) e due volte contro quelli del leader della Lega d’azione meridionale ed ex sindaco di Taranto Giancarlo Cito. Nella scorsa legislatura, infine, ad essere raggiunti da richieste d’arresto furono due azzurri (Angelo Sanza e Gianfranco Blasi), un diessino (Antonio Luongo) e Remo di Giandomenico dell’Udc.
Al Senato, invece, le richieste sono state 26. Tutte respinte.
Nella terza legislatura toccò a Domenico Marchisio accusato di «concorso in omicidio volontario continuato aggravato»; nell’ottava doppia richiesta per Domenico Pittella, nei cui atti si legge di «insurrezione armata contro i poteri dello Stato» e «guerra civile» e «banda armata» e «eversione dell’ordine democratico» e «finalità di terrorismo». Domande respinte.
Nella nona legislatura toccò al senatore Antonino Murmura; nell’undicesima a Bruno Napoli per accuse di «ricettazione»; a Carlo Merolli; quattro volte a Giorgio Moschetti; a Francesco Piccolo e dieci volte al tesoriere democristiano Severino Citaristi. Nella dodicesima al senatore del Ccd Carmine Mensorio per «associazione di tipo mafioso» e «concorso in tentativo di concussione aggravata»: l’aula votò contro l’arresto; Mensorio si suicidò gettandosi dal traghetto che lo stava riportando in Italia dalla Grecia, dove era latitante da mesi. Nella tredicesima legislatura chiesero l’arresto del senatore dell’Udeur Giuseppe Firrarello e nella quattordicesima degli azzurri Salvatore Marano, Giuseppe Onorato Benito Nocco e Pasquale Nessa.
Il recordman di entrambi i rami del Parlamento è Severino Citaristi, che i magistrati volevano arrestare dieci volte. Era un galantuomo, che non si è mai messo in tasca una lira per sè e che è morto recentemente di tumore.
Ecco, questo è il quadro e la compagnia in cui la Camera voterà sull’arresto di Vittorio Adolfo.

Il Giornale ci sarà.

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