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Tutti i segreti della D'Alema connection

Tutti i segreti della D'Alema connection

Per inquadrare la sibilla D’Alema può esser utile soffermarsi sui rapporti tra l’ex leader ds e la magistratura pugliese, barese in primo luogo. Per farlo occorre lavorare pazientemente d’archivio, compulsare avvocati, carabinieri e pm locali non schierati, leggere con attenzione atti processuali e (suoi) proscioglimenti contestati, sfogliare un recentissimo libro dal titolo curioso (Toghe, patate e cozze, scritto da Tommaso Francavilla e Franco Metta) ma dai contenuti devastanti per l’immagine del preveggente ex leader ds. Che si è preoccupato di far eleggere in Parlamento alcuni corregionali pm, mentre altri se li è portati al governo, e uno l’ha messo addirittura a fare il sindaco nonostante fosse il titolare dell’inchiesta sugli sperperi miliardari della missione Arcobaleno dove figurava pure il suo nome.

La storia è lunga. E ha natali lontani. Parte ovviamente dall’ondata giustizialista nazionale cavalcata dal Pci e portata avanti dai magistrati d’area, nei primi anni Novanta, tra avvisi di garanzia e carcerazioni preventive. Tra il 1990 e il 1995 cambiano cinque presidenti regionali, altrettanti sindaci baresi, non c’è giorno senza che più consiglieri comunali e funzionari di partito finiscano indagati o arrestati. Solo una parte (indovinate quale) è casualmente risparmiata dalle inchieste.

Un’intera classe politica viene tolta di mezzo, e a nulla varrà la tardiva consolazione delle assoluzioni di massa degli indagati eccellenti e dei flop nelle aule di giustizia. Per l’ascesa in politica dei protagonisti pugliesi con la toga, gli esempi si sprecano. Il più eclatante riguarda la cosiddetta «Operazione Speranza», con riferimento al re delle cliniche private Francesco Cavallari e alle presunte tangenti elargite a destra come a sinistra. Tantissimi politici si ritirarono dalla politica attiva e bastò l’annuncio intimidatorio, poi rivelatosi inesatto, di una «seconda ondata», per bloccarne altri o per dirottarli all’improvviso altrove, come Pino Pisicchio pronto a candidare il fratello in Forza Italia, dopodiché riparò sotto Lamberto Dini (oggi è con Di Pietro).

Si salvarono solo i comunisti, si salvò soprattutto D’Alema accusato d’aver intascato qualche soldarello pure lui quand’era ancora segretario del Pci pugliese e consigliere regionale. Il reato venne «derubricato» in «illecito finanziamento» datandolo prima dell’amnistia del 1989. Reato prescritto, pratica archiviata. Non tutti sanno che D’Alema, su quel finanziamento generosamente elargito dal boss della sanità, qualcosina aveva ammesso a verbale dopo che Cavallari al pm l’aveva tirato in ballo quale suo referente in Regione. Poi il re delle cliniche aggiunse: «Sa, signor magistrato. Non nascondo che in una circostanza particolare ho dato un contributo di 20 milioni al partito. D’Alema è venuto a cena a casa mia, e alla fine della cena io spontaneamente mi permisi di dire, poiché eravamo alla campagna elettorale 1985, che volevo dare un contributo al Pci».

Accogliendo la richiesta d’archiviazione avanzata dal pm, il gip Concetta Russi il 22 giugno ’95 decise per il proscioglimento, ritenendo superfluo ogni approfondimento: «Uno degli episodi di illecito finanziamento riferiti – scrisse nelle motivazioni - e cioè la corresponsione di un contributo di 20 milioni in favore del Pci, ha trovato sostanziale conferma, pur nella diversità di alcuni elementi marginali, nella leale dichiarazione dell’onorevole D’Alema, all’epoca dei fatti segretario regionale del Pci (...). L’onorevole D’Alema non ha escluso che la somma versata dal Cavallari fosse stata proprio dell’importo da quest’ultimo indicato».

Chi era il titolare dell’inchiesta che sollecitò l’archiviazione? Il pm Alberto Maritati, eletto coi Ds e immediatamente nominato sottosegretario all’Interno durante il primo governo D’Alema, numero due del ministro Jervolino, poi ancora sottosegretario alla giustizia nel governo Prodi, emulo di un altro pm pugliese diventato sottosegretario con D’Alema: Giannicola Sinisi. E chi svolse insieme a Maritati gli accertamenti su Cavallari? Chi altro firmò la richiesta d’archiviazione per D’Alema? Semplice: l’amico e collega Giuseppe Scelsi, magistrato di punta della corrente di Magistratura democratica a Bari, oggi titolare della segretissima indagine sulle ragazze reclutate per le feste a Palazzo Grazioli, indagine «anticipata» proprio da D’Alema. Il quale è stato generoso anche con un altro suo inquisitore: Michele Emiliano, attuale sindaco di Bari e segretario regionale del Pd, già titolare del procedimento sugli sperperi della missione Arcobaleno per aiutare i profughi kossovari che sfiorò proprio D’Alema e pezzi del suo governo, come il sottosegretario Barberi (rinviato a giudizio) e l’imputato sottosegretario diessino Giovanni Lolli, per il quale l’anno scorso il gip, su sollecitazione del pm Di Napoli, ha dichiarato il non luogo a procedere insieme a un altro ex ds, Quarto Trabacchi.

L’inchiesta che per bocca del pm Emiliano inizialmente prometteva sfracelli e di cui poi chiese a sorpresa l’archiviazione (contestata dal procuratore Di Bitonto), col tempo s’è lentamente arenata fino alla contestuale candidatura del pm Emiliano – benedetta da D’Alema - a sindaco di Bari. Prima di entrare in politica, Emiliano ha iniziato a lanciare invettive politiche contro il sindaco precedente sulla scarsa lotta alla criminalità da parte dell’amministrazione cittadina eppoi s’è scoperto garantista di se stesso quando il suo nome comparve in una intercettazione telefonica con cui una famiglia mafiosa gli faceva la campagna elettorale, in vista di una vittoria che per la prima volta spostò a sinistra i quartieri più «a rischio» di Bari: oggi, insieme a Maritati, fa a gara a straparlare di pericolo di voto di scambio con la criminalità.

Ma non c’è solo Bari nell’orbita di interesse della magistratura militante considerata vicina a D’Alema. C’è l’intera Puglia. C’è Taranto, dove la procura ha messo ripetutamente sott’inchiesta le ultime tre amministrazioni di centrodestra i cui rappresentanti sono stati «condannati a trascorrere decenni nelle aule di giustizia a discolparsi all’infinito da ogni genere di incriminazioni» – scrivono Metta e Francavilla –, senza riuscirci nel caso del povero Mimmo De Cosmo, ma solo perché morto anzitempo, stroncato dalle persecuzioni.

In procura a Taranto, nel 2007, a ridosso delle amministrative, calò l’allora sottosegretario Maritati, insieme a esponenti locali dei Ds. Voleva perorare un’accelerazione delle inchieste a carico degli ex amministratori di centrodestra. L’unico a ribellarsi fu il procuratore capo che parlò di un assedio stalinista al suo ufficio, «volto a fargli aprire comunque inchieste anche in assenza di adeguati fondamenti». E c’è Brindisi, dove il potere dalemiano imperniato sul triangolo Bargone–La Torre-Di Pietrangelo «avrebbe fortissimi riferimenti nel palazzo di giustizia - si legge sempre nel libro-shock – e aveva scientificamente massacrato la vecchia guardia democristiana e socialista, con la quale pure aveva condiviso molte vicende, quali la gestione – tramite il vicepresidente dell’Enel Valerio Bitetto, che chiamò in causa D’Alema – dei succulentissimi appalti della centrale nucleare a costruirsi negli anni ’80...».

L’inchiesta era quella sulle operazioni fatte intorno a un famoso rigassificatore inglese, inchiesta che si soffermò su alcune società off-shore in paradisi fiscali riconducibili a Bargone coinvolte nelle indagini che avevano inguaiato l’ex sindaco Antonino. Intanto nella metà del 1995 inizia a far parlare di sé, anche per inchieste «politiche», un altro magistrato predestinato a sedere a Palazzo Madama col Partito democratico: Gianrico Carofiglio. Sul pm-giallista si è abbattuta l’ira del ministro pugliese Raffaele Fitto a causa della moglie del neoparlamentare che è nel pool sui reati contro la pubblica amministrazione, competente quindi a indagare «sul Comune di Bari guidato da un collega e amico del marito».

Prima ancora la sinistra aveva puntato sul pm barese Nicola Magrone, oggi procuratore a Larino, autore di uno spettacolare arresto, «a ridosso delle elezioni politiche del 1994, con due imputazioni rivelatesi assolutamente fasulle, del Cda dell’Irccs “De Bellis” il cui presidente era stato designato quale possibile candidato del Polo. Fu il suo ultimo atto prima di mettersi in aspettativa in vista dell’elezione alla Camera». L’inchiesta poi abortì. Come sono abortiti tantissimi altri procedimenti nati nei confronti di esponenti del centrodestra a ridosso delle elezioni. Oggi l’andazzo si ripete a poche ore al ballottaggio dove concorre con qualche difficoltà l’ex pm della procura di Bari, Michele Emiliano. Sarà un caso, ma è sempre la stessa, identica storia.

Stavolta con l’aggravante della sibilla D’Alema. 

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