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Un'ondata di firme travolge Fini: "Ora dimettiti" Ma lui si nasconde e lascia i suoi soli in trincea

Grande successo per l'iniziativa del Giornale (il modulo): migliaia le firme. L’ex leader di An si rifugia in una villa in Toscana con la compagna e i suoceri. I fedelissimi chiedono una tregua: "Basta col massacro, chiudiamo la vicenda". Mentre Pd e Idv perdono la lingua e si scoprono garantisti

Un'ondata di firme travolge Fini: "Ora dimettiti" 
Ma lui si nasconde e lascia i suoi soli in trincea

RomaDa Roma, i suoi danno l’altolà: Berlusconi fermi «il massacro di Fini» e la campagna per le dimissioni del presidente della Camera o «non possiamo aprire alcun dialogo» col Pdl, dice il capogruppo di Futuro e Libertà, Italo Bocchino, mettendo in forse la «verifica» di settembre. Il suo vice, Benedetto Della Vedova, spiega che con il comunicato degli otto punti la questione della casa di Montecarlo «è stata del tutto chiarita, e non c’è nessuna ragione per chiedere dimissioni», dunque «per quel che ci riguarda la questione è chiusa». Il sito finiano Farefuturoweb la butta sul ridere: «Il Giornale chiede le dimissioni di Fini? E noi allora chiediamo quelle di Topo Gigio».
Lui, il presidente della Camera, dopo aver vergato, con la consulenza di Giulia Bongiorno, il comunicato in otto punti sull’affaire Montecarlo, si è nuovamente blindato nel silenzio, dietro i cancelli presidiati della villa affittata con Elisabetta Tulliani, la di lei mamma e il di lei babbo ad Ansedonia (Grosseto). Anzi, gli amici lo danno lontano pure da lì, immerso nelle azzurre e soprattutto tacite profondità del Tirreno dalle parti dell’isola di Giannutri, dove ogni rumore romano arriva attutito e lontano. «Oggi Gianfranco non rispondeva neppure agli sms, voleva dedicarsi solo alle amate immersioni subacquee», assicurava uno degli amici di partito che non è riuscito a parlare con il presidente della Camera.
Del resto, la lettura dei quotidiani ieri mattina non deve essere stata un momento del tutto piacevole, ad Ansedonia. Certo dalle colonne di Repubblica qualche consolazione è arrivata, con i toni di calda simpatia dell’editoriale che si scagliava contro «la fabbrica del fango berlusconiana» e si ergeva a sostegno del «gesto di responsabilità di Fini», che «ha dato prova di grande senso dello Stato», comportandosi «da uomo delle istituzioni» e dimostrando «l’abisso culturale e temperamentale che lo separa dal presidente del Consiglio». Ma la lettura del Corriere della Sera, in cui si parla di «dubbi che restano» e di «elementi di debolezza della ricostruzione» del presidente della Camera, ha lasciato a Fini l’amaro in bocca. Senza contare quegli articoli (che i suoi liquidano come «gossip agostano») zeppi di indiscrezioni sulle «tensioni in famiglia» e le liti con Elisabetta e con il di lei «ingombrante» fratello. Meglio sott’acqua, lontano dai battibecchi domestici e dai rumor romani.
I colonnelli finiani fanno intanto quadrato. «Non si può continuare a massacrare Fini e poi chiedergli di convergere», dice Italo Bocchino (in vacanza a Panarea, dove cena con Bruno Vespa e dove ieri son sbarcati anche Rutelli e Veltroni). La richiesta di dimissioni è «irricevibile e irresponsabile», e il premier deve smentire chi la avanza, oppure la verifica di maggioranza salta ancora prima di iniziare. «Bisogna capire cosa vuole Berlusconi - aggiunge Della Vedova -. Se vogliono azzerare tutto e creare un terremoto proseguiranno così, ma dopo il terremoto nessuno può sapere cosa accadrà».
La richiesta di dimissioni di Fini è stata rilanciata ieri mattina da Daniele Capezzone, contro il quale si scaglia Fabio Granata: «Capezzone, mi sembra di ricordare, è stipendiato dal Pdl come portavoce. Le parole che oggi ha pronunciato contro la terza carica dello Stato o sono smentite dal premier o rappresentano un fatto politicamente gravissimo». Quanto alle critiche rivolte a Fini da «ex colonnelli di An che a Fini devono tutto», secondo Granata sono «semplicemente indegne».
Se l’ala dei «falchi» finiani minaccia di far saltare la trattativa di maggioranza sul caso Montecarlo, dalle colombe arrivavano ieri inviti al disarmo: «Sarebbe un errore colossale trasferire una questione interna al Pdl nelle aule parlamentari», avverte Silvano Moffa, «col rischio di aprire una crisi istituzionale dagli esiti imprevedibili. Fini ha chiarito, i paragoni con Scajola sono improponibili e la “bastonatura” deve finire: il clima da resa dei conti non porterebbe da nessuna parte.

E il Paese non capirebbe, le sue priorità sono tutt’altre».

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