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Verona, una pista per la strage: la paura di un crac

Alessandro Mariacci avrebbe confessato a qualche amico di temere per il lavoro e i propri investimenti E per gli investigatori adesso si delinea il quadro di una famiglia meno serena e felice di quanto si pensasse

Verona, una pista per la strage: la paura di un crac

Verona Preoccupato per un possibile tracollo finanziario. Potrebbe essere questo il movente che ha spinto Alessandro Mariacci, quarantatreenne commercialista esperto in fallimenti a tirare per sei volte il grilletto della sua 347 semiautomatica uccidendo la moglie Maria Riccarda Carrara Bottagisio, i figli Filippo, nove anni, Nicolò sei e Jacopo tre, per poi suicidarsi. Non ci sono certezze, per ora le ipotesi sono tutte in piedi, ma la molla della tragedia familiare veronese potrebbe essere la preoccupazione del commercialista di non avere più la solidità economica a cui era abituato e a cui aveva abituato la sua famiglia.
Nell’arco delle ore successive alla strage la Squadra mobile ha ascoltato altri parenti, amici, colleghi ed è emerso che la famiglia Mariacci non era così perfetta come poteva sembrare.
Qualcuno ha raccontato di qualche dissapore tra i coniugi, altri hanno detto di averli visti recentemente piuttosto tesi. Niente, comunque, che potesse far presagire quello che poi è accaduto. Eppure Mariacci era preoccupato per i suoi investimenti e per il suo lavoro e queste sue perplessità le aveva espresse a qualche amico. Accertamenti bancari per ora non ne sono stati fatti. Il fine settimana le banche sono chiuse, ma da domani verranno setacciati conti correnti, investimenti, sentiti broker finanziari e bancari.
Mariacci rimasto orfano a sei anni (la madre morta di malattia, il padre quasi contemporaneamente in un incidente), era stato cresciuto da una nonna che l’aveva allevato al meglio delle proprie possibilità. Offrendogli quello che aveva. Ma l’aveva mandato in una scuola prestigiosa, e lui fin da piccolo aveva mostrato caparbietà e determinazione nel voler raggiungere gli obbiettivi che s’era posto. Alessandro fin da piccolo aveva cominciato una corsa per riuscire a vincere nella vita. Frequentate le medie in un paese di provincia si iscrive al più prestigioso liceo cittadino, il Maffei. E anche lì si distingue per la sua determinazione. Giocava a calcio, raccontano gli ex compagni di scuola, «ma si vedeva che lui voleva sempre e soltanto vincere. Era attaccante, non avrebbe mai giocato in altri ruoli, lui in porta non si sarebbe mai messo, doveva apparire, essere al centro dell’attenzione, fare la differenza».
È sui banchi del Maffei che incontra l’amore della sua vita, Maria Riccarda Carrara Bottagisio, bionda, eterea, benestante. E un cognome importante. E per lui, che affetti stabili non aveva potuto averne, quell’amore diventa totalizzante. I compagni di scuola ricordano i due sempre insieme fin da ragazzi, sembravano già sposati. Una coppia su cui tutti avrebbero scommesso. Dodici anni fa il matrimonio, poi la nascita del primo figlio, Filippo che aveva 9 anni, quindi dopo tre anni esatti Nicolò e dopo altri tre Jacopo.
Alessandro intanto diventa curatore fallimentare di grosse aziende e ha uno studio associato ben avviato. Ci lavorava anche la moglie ma dopo l’ultima gravidanza allenta, resta sempre più spesso a casa.
Lei ora avrebbe voluto tornare a vivere in centro città, recentemente era andata in un’agenzia immobiliare. Cercava un appartamento con tre camere da letto in centro. Chissà anche questa decisione forse aveva turbato il rapporto di coppia: lui, l’uomo «forte» preferiva restare in quel rustico ristrutturato. Ma forse dietro a questa apparente forza si nascondeva una pericolosa fragilità. Forse la paura di un tracollo finanziario gli aveva fatto temere un calo affettivo della donna che aveva amato da sempre. Senza soldi e successo sarebbero venuti meno la stima e quindi il rispetto? Lui che valutava tutti secondo reddito e possibilità economica temeva d’essere soppesato nello stesso modo.

Restano tutte soltanto ipotesi.

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