Cultura e Spettacoli

Viaggio nel laboratorio dell’Ingegner Gadda

Ci sono lettori che «hanno perso la testa per Gadda», ha affermato un volta Gian Carlo Roscioni, uno dei maggiori studiosi dello scrittore milanese. Un’affermazione iperbolica, ma assolutamente veritiera. Sono pochi, infatti, gli autori italiani che hanno scatenato interessi e passioni così forti. E se la difficoltà di lettura che i testi gaddiani presentano potrebbe sembrare un deterrente (e spesso lo è, soprattutto per chi - magari giovane studente universitario affascinato dal personaggio e dall’aura di sacralità che si è creata intorno a lui - si impunta sui primi scogli del suo pastiche linguistico e si perde poi tra i marosi delle sue metafore azzardate), nondimeno ci si rende presto conto che basta prendere la buona bracciata per riuscire a nuotare con disinvoltura nell’oceano-Gadda. E allora è davvero impossibile fermarsi. Lo spessore saporoso della sua prosa, l’ironia amara e graffiante, i suoi personaggi così veri, anche se deformati dalla lente da entomologo con cui vengono spietatamente analizzati, conquistano con una passione tenace.
Anche per questo Gadda è uno degli scrittori più studiati in Italia. E poi c’è il discorso della straordinaria mole di carte che ci sono rimaste - una vera ricchezza cui attingere - oggi quasi integralmente conservate presso la Biblioteca Trivulziana di Milano, in cui sono confluiti i Fondi Garzanti, Roscioni e - di recente - Citati, ancora in fase di ordinamento. Si tratta di stesure provvisorie, ricche di interventi e correzioni, tutte rigorosamente stilate a mano (l’Ingegnere odiava, almeno nella scrittura, ogni tipo di tecnologia, anche solo una semplice macchina per scrivere). Brani rimasti incompiuti. Altri riscritti, più o meno integralmente, e poi confluiti in racconti o romanzi di più ampio respiro. E poi lettere, documenti, immagini. Insomma, una vera manna per lo studioso.
E infatti, solo negli ultimi mesi, si possono segnalare l’uscita presso Garzanti della riproposta di Un fulmine sul 220 (Garzanti), a cura di Dante Isella, «il racconto cresciuto a romanzo» da cui poi Gadda attinse a piene mani nella costruzione dei «disegni milanesi» dell’Adalgisa; e una nuova edizione accresciuta dell’interessante testo di Maria Antonietta Terzoli su La casa della Cognizione (Effigie) in cui, attraverso una serie di fotografie appartenute allo stesso Gadda, vengono ripercorsi i luoghi della Brianza, in particolare la villa di Longone (il Lukones del libro), in cui si muovono Gonzalo e gli altri personaggi del capolavoro gaddiano, in un improbabile Sudamerica popolato da invadenti popolani e da peones dagli zoccoli infangati.
Il dolore. Questa componente così costante nella vita dello scrittore. Un dolore oscuro, greve, che esplodeva (come accadeva anche a Gonzalo) in improvvisi attacchi d’ira, subito smorzati in una calma quasi irreale, come un vela che si abbandona improvvisamente alla bonaccia.
Per i gaddofili (mi si passi il forse poco felice neologismo che peraltro, con le sue feline evocazioni foniche, sarebbe forse piaciuto a Carlo Emilio), comunque, l’evento più atteso è certamente il terzo volume dei Quaderni dell’ingegnere (passato a Einaudi, dopo i primi due editi da Ricciardi). Una pubblicazione che comprende testi inediti, lettere (belle come piccoli racconti), descrizioni e catalogazioni dei materiali conservati negli archivi, documenti scritti e anche iconografici, oltre a una corposa sezione dedicata agli studi. Studi «per specialisti»: sullo stile, sulla lingua. Ma è certo agli amanti più addentro alla macchina gaddiana che il prezioso volume si rivolge. Un’opera tesa alla ricostruzione degli iter di correzioni, rifacimenti, riscritture subiti dai testi e alla loro interpretazione linguistica e filologica.
L’iniziativa di questa pubblicazione annuale è dovuta a Dante Isella, ed è stata poi realizzata con la collaborazione di altri studiosi e amanti dell’autore milanese. In questo numero compaiono le firme di Luigi Matt, Giorgio Pinotti, Donatella Martinelli, Paola Italia, Andrea Silvestri, Guido Lucchini, oltre a una Bibliografia della critica curata da Andrea Cortellessa.
Gadda probabilmente sarebbe confuso ed intimidito di fronte a tutto questo interesse per il suo lavoro. In particolare di fronte a questa impresa così dotta, completa, approfondita, appassionata. Si sarebbe schermito, Gadda, eppure avrebbe seguito i lavori con un interesse fortissimo, magari celato dietro una maschera di infastidita indifferenza. Mettere ordine nelle carte di Gadda! Sarebbe come dire sciogliere il «gliuommero». Trovare il bandolo. Dipanarlo. Ma gli studi puntano piuttosto a capire, a interpretare la complessità gaddiana, lasciando intatto il fascino della pagina. Quello spessore linguistico ed espressivo che, assaporato, sembra una gustosa cucchiaiata di buon cibo lombardo. Il risotto, tanto amato dallo scrittore. O gli altrettanto famosi ossibuchi, degustati dai giovani eleganti che si concedono, al termine del pasto, «con distratta noncuranza» una sigaretta, a complicare la già difficile digestione, ed ecco che «la peristalsi veniva via con un andazzo trionfale, da parer canto o trionfo, e presagio lontano di tamburo, la marcia trionfale dell’Aida o il toreador della Carmen».

Il mondo in una boccata di fumo.

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