Winter Marathon, dura ma da fare

Devo fare una confessione: ho mentito al mio pilota. Non è vero che «andava tutto bene». Più volte, nelle prime due ore della gara, mi sono chiesto: «Ma sei proprio un pazzo, chi te lo fa fare di soffrire tutto sto’ gelo, per di più viaggiando con la capote aperta in pieno inverno in mezzo alle montagne, con quella puzza di benzina che arriva dallo scarico di quella 850...». E poi l’impossibilità, a causa delle prime prove speciali, l’una dietro l’altra, di espletare un bisognino impellente derivato dal freddo. Doppia, anzi tripla sofferenza. Anche quei tre maledetti cronometri da far partire in sequenza con un occhio fisso, rischiando lo strabismo, al librone (77 interminabili pagine) per indicare al pilota, il bravo e paziente Mauro Gentile, di Porsche Italia, il percorso da seguire. «Vai! 5 secondi. Stop. Riparti, prendi la destra. No, scusa, dritto. Anzi... Uffa, non ci capisco più niente! Aspetta che suona il cellulare». Le prime due ore della mia Winter Marathon (392 chilometri su e giù per le Dolomiti, 36 prove a tempo, 12 ore di guida e «navigazione»), a parte la piacevole passerella di rito tra due ali di villeggianti e appassionati sulla «vasca» di Madonna di Campiglio, sono state quasi fantozziane. Scusa, Mauro, e scusa splendida Porsche 356 C di colore bianco del 1965 (valore 100mila euro) che mi hai immeritatamente ospitato. Ma l’inizio è stato uno choc. Devo ammetterlo: amo il mare, il caldo, la sabbia, lo stare sbragato e non imbacuccato dalla testa ai piedi.
Ma come spesso capita nelle storie più belle, tutta cambia improvvisamente: chiusa la capote, presa confidenza con i cronometri e girata l’ennesima pagina del road book, avviene il mezzo miracolo: «È un privilegio essere tra i quasi 200 partenti», dico tra me e me. Che belle macchine: la Lancia Aprilia, la Fulvia Coupé Rallye 1.3 Hf; quella Triumph Tr3A; la sfilata di Fiat 600, 500 e 1100/103. E poi le stupende Mercedes-Benz 190 Sl e Bmw 700 Coupé. E avanti ancora: Jaguar Triumph, Ferrari, Alfa Romeo e le numerose Porsche, come da tradizione, tra 356 Speedster e 356 C Cabriolet. E quanti bei nomi, molti sconosciuti e altri no, come la nutrita rappresentanza della Brescia industriale. Peccato per il forfeit all’ultimo di Lucio Dalla.
Comunque, man mano che passano le ore comincio a prenderci gusto e a entrare, per così dire, nello spirito della manifestazione: staccare dalla routine, viaggiare su un mito (a proposito, mal di schiena zero), vivere un’esperienza unica e godere dei paesaggi notturni di una delle zone più affascinanti del Paese. «È una Mille Miglia invernale con il solito nutrito gruppo di Porsche: c’è chi partecipa per divertimento e chi, invece, punta senza mezzi termini ad aggiudicarsi questa gara di regolarità per lo più notturna, ricorrendo a sofisticati cronometri e computer. In alcuni tratti si arriva anche a -15 e -20°. Ma non ci farai caso, prevale sempre il gusto di partecipare a un evento del genere. Sui passi, come il Pordoi e il Gardena, ti sembrerà di toccare le stelle con un dito». Aveva ragione Roberto Vesco, anima della Winter, nell’accogliermi a Madonna di Campiglio.
Come è finita? Per il buon Mauro poteva andare meglio. I ritardi accumulati (tutta colpa mia) ci hanno relegato al 156° posto, evitando però di un buon numero di posizioni la maglia nera. Per la cronaca, ha vinto la Fiat 600 del ’57 dei bresciani Pier Luigi Fortin e Laura Pilè, seconda una Porsche 356 Sc Coupé del ’63 e terza un’altra Fiat, una 1100/103 Tv del ’56. A proposito, come erano diverse le auto di 40 anni fa: spartane, senza elettronica ma con tutto l’indispensabile. Da guidare veramente, povere ma belle.

E costose.

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