Controcultura

Fra wrestling e narcos ecco gli esagerati anni Ottanta

Fra wrestling e narcos ecco gli esagerati anni Ottanta

Fra i tanti meriti - avere formato un pubblico nuovo, intercettato giovani consumatori, creato veri e propri dipendenti in preda a deliri d'astinenza - le serie tv ci hanno salvato dalla noia della programmazione estiva. Un po' come avviene al cinema, nella tv generalista tra luglio e agosto si affoga in un mare di repliche, di intrattenimenti balneari. Nulla per cui valga la pena accendere il vecchio apparecchio e decidere di non uscire di casa. Ha cambiato perciò abitudini l'offerta di portali e canali incentrati sulle fiction a episodi, da vedere o rivedere, che di anno in anno si accresce di storie sempre più sfiziose e intriganti, dalle commedie alla suspense, dai film verità ai thriller. Nell'estate 2017 sembrano tornati di gran moda gli anni '80. Un mood che è nell'aria, poiché anche nell'arte sembra esserci un timido sguardo verso un decennio che in molti hanno letto come troppo ludico e figurativo, sacrificato all'impegno e alla rigidità dei '70, e già l'anno scorso in tv fecero molto parlare Stranger Things, un vero culto, e la poco fortunata The Get Down. Fra le serie appena uscite, entrambe su Netflix, ambientate nell'epoca del cosiddetto riflusso, ne segnaliamo due, peraltro agli antipodi: Glow ed El Chapo.

La prima, in dieci episodi sulla mezz'ora ciascuno, è ambientata a Los Angeles mentre stava esplodendo la mania del wrestling, quello strano tipo di lotta-spettacolo iperrealista, ipertrofico e grottesco buono solo per l'America più kitsch. Uno «sport» per uomini sovradimensionati che il tipico regista fallito, tra b-movies e porno, vuole reinventare utilizzando solo donne, scelte in un casting al limite del borderline. Proprio lui, Sam, è il personaggio maschile principale, molto bravo come del resto tutti gli interpreti, in un improbabile gineceo dove spicca Ruth, che sogna una carriera nel teatro impegnato ma riceve solo offerte al limite della decenza. E poi la darkettona, la ninfomane, un paio di ciccione, la moglie tradita. Il tutto in un trionfo di capelli cotonati, tutine fluo, scaldamuscoli e musica disco funk che impazzava nei locali di allora. Non solo nostalgia, per una scrittura che funziona e tante risate.

Gli esperti di tv sostengono che le serie ispirate a bande criminali sono le più gradite dal pubblico. Mentre da noi si gira Suburra, che uscirà sempre su Netflix, la piattaforma ora offre El Chapo, storia vera di Joaquín Guzmán, così soprannominato per la bassa statura, capo del cartello di Sinaloa e dal 1985 re incontrastato del traffico della droga in Messico, arrestato definitivamente solo nel 2016. In 9 episodi si celebra il ritorno di un certo cinema d'avventura, meno estremo e anche meno appassionante dell'inarrivabile Narcos. Anche la scelta di non doppiare i dialoghi, mantenendoli in spagnolo, avvicina El Chapo al suo parente più prossimo, di cui sono ripresi ambienti, personaggi (c'è persino Pablo Escobar), decori e costumi. C'è da chiedersi per quale ragione registi e sceneggiatori abbiano deciso di vestire così male i loro criminali, strizzati in camicie color panna e pantaloni dal taglio vecchio e scampanato, senza contare le tute e i folti baffi neri d'ordinanza. Ci sarebbe da scrivere un trattato sull'anonimia della moda presso i narcotrafficanti. I primi episodi stentano nel ritmo, ma c'è da aspettarsi fuoco e fiamme con l'ascesa nel sistema malavitoso del Chapo, interpretato da tal Marco de la O, non ancora carismatico come lo strepitoso Wagner Moura di Narcos.

Siamo invece alla sesta stagione di Homeland (su Fox), ritenuto dagli amanti del genere uno dei migliori action movie in cui si intrecciano psicanalisi, terrorismo, politica e guerra. Protagonista ancora Claire Danes, affiancata da vecchi caratteristi come F. Murray Abraham. È Carrie, impegnata nel tentativo di assistere i perseguitati dal governo Usa che, nel frattempo, lotta contro il terrorismo e intreccia le proprie vicende a quelle di un nuovo Presidente. Accusata di essere fin troppo «buonista» nella rappresentazione di musulmani e islamici, Homeland continua a ottenere consensi, e ne sono previste altre due stagioni. Certo, per godere appieno degli intensi cambi di registro, della sovrapposizione continua di storie, occorre recuperare le annate precedenti.

Ma l'estate è la stagione giusta per riavvolgere il nastro e riprendere il filo della narrazione.

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