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Yvonne cerca il fidanzato: «Era sul bus della morte»

Il dramma di una donna inglese che non sa dove sia il compagno: «Mi ha chiamata dal pullman, da allora non so niente di lui»

GAIA CESARE nostro inviato a Londra
Yvonne e Jamie sorridono felici. Lei indossa un abito blu, scollato, ha i capelli tirati e un’espressione di serenità sul volto. Ma è solo una foto. Un’immagine che ora Yvonne Nash, 31 anni, stringe fra le mani mentre lancia il suo appello disperato alla città: «Aiutatemi a trovare il mio fidanzato, vi prego». Alle sue spalle, pochi metri indietro, c’è la scena più agghiacciante del 7 luglio, il giorno delle bombe e della vendetta islamica: l’autobus numero 30 a brandelli, un ammasso di lamiere rosse, il tetto scoperchiato e più nulla attorno. A bordo di quel bus, che giovedì stava viaggiando tra Hackney e Marble Arch, facendo una piccola deviazione rispetto al percorso abituale, fra le 13 vittime contate ieri dalla Metropolitan Police, potrebbe esserci il suo compagno Jamie Gordon, 30 anni, consulente finanziario della City Assets Management. Di lui non si hanno più tracce. Il suo nome è nella lista dei missing, scomparsi. Eppure il suo telefono ha squillato e continua a squillare. La Metropolitan Police lo ha trovato a pochi metri dal luogo dell’esplosione. E proprio da quel cellulare Jamie aveva fatto la sua ultima telefonata, giovedì mattina alle 9.42, per avvisare che c’era un ingorgo e che sarebbe arrivato al lavoro con un po’ di ritardo. «Ha chiamato il suo ufficio dicendo che stava viaggiando tra King's Cross e Euston, poi più nulla». Cinque minuti dopo, a Tavistock Square, è scoppiato l'inferno. Erano le 9.47.
Yvonne ha passato la notte chiamando tutti gli ospedali della città e l'unità di crisi. A vuoto. Nessuno sa nulla. «Mi sento devastata», racconta mentre continua a stringere fra le mani la foto del suo compagno. «Vivevamo insieme da sette anni, non ci sono parole per spiegare l'angoscia che provo in questo momento», dice, e mentre le si legge in faccia più che l'angoscia, la speranza che Jamie sia ancora vivo e che qualcuno le dica che l'ha visto. «Non prendeva mai quell'autobus, perché noi viviamo a Enfield, nel nord di Londra, ma mercoledì sera si era fermato a casa di un amico e da lì si è mosso per andare al lavoro», spiega guardando l'unica persona che le sta vicino adesso, sua zia Sandra. È lei, che la segue come un'ombra, a raccontarci che «Jamie era una ragazzo delizioso e che insieme erano una coppia fantastica, fino a che gli attentati non sono piombati anche nella nostra città». «Sapevamo che prima o poi sarebbe successo, ma non sapevamo quando. E in questi casi pensi sempre che non sarai tu a essere coinvolto», racconta timida mentre il suo pensiero torna a Jamie. «L'importante è capire dove si trovi ora», dice ricambiando lo sguardo della nipote. Yvonne ora sembra l'ombra della ragazza sorridente della foto: ha l’espressione tirata. L’abito da sera è stato rimpiazzato da un impermeabile che la difende dall'uggiosa giornata londinese. Ma lei non cede un attimo all'emozione, mai una lacrima mentre dice: «Devo assolutamente sapere dov'è, sapere se era su quell'autobus o se magari si trova in qualche ospedale. Non riesco a pensare che sia su un letto, magari sotto choc, e che io non possa stargli vicina». Nel suo volto si legge la caparbietà e la forza del suo Paese, ferito ma non piegato, che già da ieri è tornato a un'apparente normalità, sfidando la paura e tornando per le strade, sugli autobus e nella metropolitana, entrambi simbolo della Gran Bretagna efficiente, dove nessuno - nemmeno a denti stretti - riesce mai a dirti che la colpa è dei musulmani, perché qui, proprio in questi giorni di crisi, anche loro, negli ospedali, nelle metropolitane, stanno lavorando perché di quegli attacchi, di quelle bombe sanguinose, non resti più traccia.
Poi c’è Yvonne, instancabile: continua a ripetere il suo appello senza cedimenti: «Chiunque abbia visto quest'uomo, si faccia vivo a questo numero...». Poi svolta l'angolo e si ferma ad uno Starbucks per un caffè. È tempo di ricominciare a chiamare gli ospedali. Intanto la crime scene, «la scena del delitto» - come si legge sulle carte in mano ai poliziotti che sorvegliano la zona - è invisibile.

Di quell'autobus a due piani e delle vite che si è portato via non resta che un enorme telo bianco.

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