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L’inchiesta appalti demolisce il mito delle toghe immacolate

I due magistrati indagati sono la prova che buoni e cattivi si trovano ovunque in politica come nelle Procure. Nonostante la retorica spacciata dalla sinistra

L’inchiesta appalti demolisce il mito delle toghe immacolate

Le cronache di tutti i giorni non fanno che riempire le pagine dei giornali delle notizie relative allo scandalo che ha colpito la protezione civile italiana e alcuni dei suoi più noti esponenti. Non solo. Si nota una sorta di malcelata soddisfazione in diversi commentatori nel constatare come i confini dello scandalo si allarghino sempre di più, come cerchi concentrici, fino a lambire - con goduria dei soliti moralizzatori - lo stesso governo in carica: Verdini, Matteoli, Palazzo Chigi ecc... L’occasione è perciò assai ghiotta e non bisogna farla sfuggire: bisogna approfittare per consentire alle solite voci dei puri di catoneggiare dicendo il peggio possibile del governo, dei suoi metodi, degli uomini che esso esprime.

Nulla di nuovo, è chiaro! Tuttavia, non si può fare a meno di constatare come nelle recenti vicende, anche se sotto aspetti diversi, siano coinvolti due magistrati, come ha puntualmente riportato la stampa. L’uno è procuratore aggiunto presso il Tribunale di Roma, Achille Toro; l’altro è presidente di sezione della Corte dei Conti, Mario Sancetta. Toro, accusato di rivelazione di notizie riservate, di favoreggiamento e corruzione, si è dimesso nei giorni scorsi, anche allo scopo di meglio difendersi; di Sancetta, invece, non si conoscono allo stato reazioni specifiche.

Si badi. Sono il primo a battermi perché anche nei loro confronti - indipendentemente dall’accusa e dal grado di loro coinvolgimento - operi pienamente la presunzione di innocenza, in forza della quale sia Toro che Sancetta debbono essere rispettati e considerati del tutto innocenti fino ad una eventuale sentenza definitiva che li dichiarasse colpevoli: tale presunzione, che vale per tutti i cittadini, deve a maggior titolo valere per chi, come loro, abbia esercitato delicate funzioni nell’amministrazione della giustizia ordinaria o contabile.
Tuttavia, non si può fare a meno di notare come purtroppo in questa occasione, oltre ai soliti politici coinvolti - cosa che non stupisce per nulla - ci siano due magistrati, sia pure appartenenti a giurisdizioni diverse. La circostanza induce a due ordini di riflessioni complementari.

Per un verso, si deve rilevare che, al contrario di quanto vuol far credere la propaganda di regime (intendo il regime egemonico della sinistra), non esistono zone franche, non essendo possibile, né realistico, immaginare che mentre gli esponenti politici (ovviamente, del centrodestra) sarebbero tutti ladri e dediti a soddisfare esclusivamente i propri interessi, invece l’ordine dei magistrati sarebbe costituito al cento per cento da soggetti puri, integralmente votati al proprio lavoro, svolto con vocazione quasi sacerdotale.
Purtroppo o per fortuna - a seconda dei punti di vista - non è così. L’esperienza di questi giorni ci suggerisce il contrario, mettendoci sotto gli occhi una realtà che si presenta molto più complessa e variegata di come vorrebbero dipingerla i manichei di casa nostra. Per dirla in modo assai semplice ed approssimativo, bisogna ammettere una verità solare e perfino ovvia: che cioè buoni e cattivi, corrotti e integri si trovano da qualunque parte e in qualunque ordine della pubblica amministrazione. E come accanto a politici onesti e degni di grande stima si trovano altri politici corrotti, accanto a magistrati integerrimi e degni di massima considerazione purtroppo se ne trovano altri corrotti o corruttibili: nessuna categoria nasce senza peccato originale.

La seconda considerazione induce invece a considerare come la sinistra italiana che per decenni ha moraleggiato predicando in modo martellante la propria diversità ontologica, deve invece ammettere di non essere per nulla diversa da tutte le altre formazioni politiche, come amaramente insegnano i casi che recentemente sono venuti a galla (si pensi per tutti alla vicenda del sindaco di Bologna Delbono).
Sicché, ancora una volta, le vicende di questi giorni possono fornire un importante insegnamento che va preso sul serio soprattutto da coloro che sono abituati a vedere la pagliuzza nell’occhio del rivale senza scorgere la trave nel proprio: che cioè, nella vita, non esistono figli e figliastri, non esistono, per usare la celebre metafora di Orwell, animali «più eguali degli altri», non esistono cioè categorie di persone o di amministratori esenti da ogni corruzione, quasi per diritto divino, nemmeno i magistrati.

Da questo punto di vista, in quanto uomini soggetti all’errore, siamo davvero tutti sullo stesso piano e perciò nessuno, nemmeno i magistrati - o la sinistra che tanto ne enfatizza il ruolo - può scagliare la prima pietra: perché nessuno è senza peccato.

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