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Il programma catalogo di banalità

Le perle di Nicola: «Impediremo il declino se sapremo cambiare...»

Il programma catalogo di banalità

Roma Come sarà l'Italia che verrà? Quella che il nuovo segretario del Partito democratico ambisce a costruire? Basta leggere il suo programma per capire essenzialmente una cosa: il nuovo che avanza si deve liberare di due pesanti zavorre per andare più spedito: l'eredità renziana e il dilettantismo del governo giallo-verde. E che si tratti di un programma anti-renziano basta a capirlo una frase-slogan tratta dalla prima pagina del programma: «Impediremo il declino se sapremo cambiare. Cambiare molto, se non tutto». Dice Zingaretti che al «centro dell'agenda politica» deve essere messa la scuola. «Contro ogni forma di oscurantismo e regressione culturale», la scuola deve tornare a essere «uno straordinario presidio sociale». Parole davvero di effetto che mascherano ad arte una coltellata micidiale al renzismo. «Il Pd -si legge nel programma - ha investito nella scuola. Ma gli errori compiuti sulla legge 107 (la cosiddetta Buona Scuola) hanno prodotto una frattura con il mondo della scuola che vogliamo sanare». Però basta un attimo per cadere nel libro dei sogni. E come in un qualsiasi programma politico si legge «L'Italia ha bisogno di fare finalmente crescere l'investimento nella ricerca di qualità, interdisciplinare, di respiro internazionale, che sia capace di generare innovazione imprenditoriale e sviluppo sociale». Sai che novità!

Di frecce avvelenate ce ne sono in abbondanza anche per il governo Salvini-Di Maio. A partire dal «tanto sbandierato» Decreto sicurezza. Accusato di smantellare «un sistema di accoglienza diffusa e volontaria che ha costituito un modello in tutta Europa». E Zingaretti già parla, nel suo programma, da futuro legislatore. Quando il Pd diverrà maggioranza parlamentare (verosimilmente in coalizione con altri) dovrà mettere mano a «una Legge Quadro sull'immigrazione che superi la legge Bossi-Fini». Una legge che si basi, spiega il neo segretario del Partito democratico, su tre punti qualificanti: «l'abolizione del reato di immigrazione clandestina», «l'apertura di canali di ingresso legali» (flussi migratori, permessi temporanei, etc.) e una «politica per l'integrazione» (con tanto di tutele sociali, di aiuti scolastici, politiche per la casa e per la mediazione culturale).

Nel suo programma Zingaretti parla esplicitamente di Costituzione a rischio. Soprattutto là dove ricorda che il principio del monopolio dello Stato sulla forza e quindi sulla difesa sta subendo un attacco senza precedenti. Con un diritto penale, peraltro, «sempre più spesso utilizzato come strumento simbolico di costruzione del consenso, con la pena sempre più simile a una vendetta».

Certo, col senno di poi, è facile capire dove stanno gli errori. Eppure Zingaretti non si preoccupa di ripetersi e soprattutto di scivolare nell'ovvietà. «Occorre un'opposizione che non punti alla propaganda ma all'iniziativa politica. Che non insegua il populismo e la destra sui suoi terreni. Fin qui il gruppo dirigente, responsabile della sconfitta, ha sbagliato l'analisi, di conseguenza dopo ha sbagliato tutto».

E la lotta ai populismi passa anche per una adesione convinta all'Europa («straordinaria conquista messa a repentaglio dal ritorno dei nazionalismi»).

Un'Europa, però, che ripudi il «rigore astratto e cieco» dei burocrati di Bruxelles.

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