Gli agricoltori in toga

«Non esiste una connessione indissolubile tra l’unità della carriera e l’indipendenza della magistratura e, viceversa, tra la separazione delle carriere e la soggezione dei magistrati requirenti al potere politico (al governo o al Parlamento). L’unità delle carriere di per sé non esclude la soggezione del pubblico ministero al potere politico, la separazione delle carriere non comporta necessariamente l’asservimento del pubblico ministero al potere politico». Queste cose non le scrive il ministro guardasigilli ingegner Castelli, dall’Associazione nazionale magistrati bollato come profanatore di sommi principi costituzionali, e nemmeno uno degli avvocati di Silvio Berlusconi che siedono in Parlamento. Le scrive Rafaele Corona, presidente di sezione civile della Cassazione, in un volumetto - «La specializzazione dei magistrati-La separazione delle carriere» editore G. Giappichelli - sui cui contenuti si dibatterà domani nell’aula Giallombardo del «palazzaccio» romano.
Il saggio di Corona si riallaccia alla polemica che, proprio a proposito della separazione tra giudici e Pm, è divampata durante anni tra la maggioranza di centrodestra da una parte, l’Anm e l’opposizione di centrosinistra dall’altra. Nella riforma della giustizia che è stata recentemente varata il governo ha rinunciato, a mio avviso con eccessiva timidezza, alla separazione delle carriere e s’è accontentato d’una separazione delle funzioni, con alcuni ostacoli al passaggio da una funzione all’altra. Ma nonostante questo s’è imputata a Berlusconi la volontà di asservire i Pm e di umiliare i giudici, modificando l’ordinamento italiano, descritto come impareggiabile esempio di democrazia e di libertà.
Corona, appartenente all’élite degli ermellini di Cassazione, è di parere alquanto diverso. «Alla luce delle esperienze europee - spiega - le affermazioni assolute ed assiomatiche che si pronunciano insistentemente contro la separazione delle carriere appaiono prive di fondamento storico. Allo stesso tempo sembra fuorviante e sciovinistica l’affermazione che “l’ordinamento italiano è un modello cui altri Paesi europei guardano con grande interesse”».
Secondo Corona la separazioone delle carriere è collegata, sia pur in un ambito di maggior rilevanza politica, alla specializzazione: della quale egli si dichiara senza ambiguità fautore. «Se non si vuole restare nella magniloquenza indeterminata e stucchevole si deve avere il coraggio di dire che sono maturi i tempi per fare un funerale decente al magistrato generico, il quale sa poco di tutto, e dare vita al magistrato specialista, che sa tutto ancorché di poco. Con la conseguenza scomoda che per valutare capacità speciali occorrono persone e organi dotati di competenze speciali. (La corporazione dei magistrati, quale la rappresenta l’Anm, non ha riservato alla specializzazione la stessa furibonda ostilità dimostrata per la separazione. Si è limitata a blandi consensi generici e a sostanziali impedimenti, una tecnica che nella burocrazia conta cultori eccelsi).
«La specializzazione dei magistrati e la separazione delle carriere - conclude Corona - non costituiscono la panacea, il rimedio sovrano per tutti i mali che affliggono l’amministrazione della giustizia; rappresentano un tentativo settoriale ma non secondario di rispondere a istanze di modernizzazione e di rinnovamento... I contadini dell’India e della Cina individualmente, dai pochi ettari di terreno che riescono a coltivare con le loro braccia, ricavano dieci quintali di riso l’anno.

Con un lavoro infinitamente meno faticoso un agricoltore americano da solo coltiva cento ettari e produce non dieci quintali ma trenta tonnellate... Che i magistrati smettano di lavorare come i contadini asiatici e imparino a produrre come gli agricoltori americani non è soltanto questione di testa, ma anzitutto di organizzazione». Parola di magistrato.

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