Alona Kimhi: «L’inganno delle ideologie»

da Torino
Alla Fiera del libro di Torino si avvicendano islamici moderati o illuminati, israeliani, europei laici e cattolici. Il più ricco di immaginazione è Eshkol Nevo, romanziere di Gerusalemme nipote di uno dei primi ministri dello Stato di Israele, che ha costruito il romanzo Nostalgia (Mondadori), sull’ambiguità dei confini: «La storia si svolge in un’ex enclave araba di Tel Aviv, dove vive una comunità ebraica che viene dal Kurdistan. Quando un muratore arabo comincia a sospettare che lì si trovi la sua casa natìa, desidera entrare, oltrepassare il confine e scatena una piccola lotta di quartiere. I confini non ci permettono di vedere al di là, ma insieme evitano conflitti inutili. In Israele abbiamo un muro, da tre anni. Quando lo guardo mi deprimo. Ma poi capisco che il muro serve a evitare l’80 per cento della possibilità che ci siano atti di terrorismo da entrambe le parti».
Per Alona Kimhi, autrice di Lily la tigre (Guanda) i conflitti non sono creati dalla difesa delle identità religiose. «La gente ha paura di confessare i veri motivi per cui combatte. La guerra islamica non è un conflitto culturale. Una delle qualità peculiari degli esseri umani è che tendono a presentarsi come ideologi e non come esseri pragmatici o spiriti animali che vogliono mangiare, fare sesso e divertirsi. A volte invece i problemi si risolvono se alla gente si permette di fare un po’ di dolce vita. Dovremmo seguire il consiglio di Aristotele: tra un confine e l’altro esiste un “sentiero dorato” che va seguito».
Feridun Zaimoglu, che presenta il romanzo Leyla (Saggiatore) e domani sarà alla tavola rotonda su Europa e Turchia cui parteciperà il ministro degli Esteri Massimo d’Alema, è famoso per aver scritto i suoi romanzi nel gergo kanak strach usato dagli immigrati turchi in Germania. Un vero esperto di confini e conflitti: «In Turchia gli islamici hanno riconquistato forza e il controllo della popolazione. Perciò non vedo alcun futuro per l’ingresso della Turchia in Europa. Non lo vogliono gli europei e non lo vogliono i turchi. Fantasia e chiacchiere sono una bella cosa, ma bisogna guardare ai fatti: solo una minoranza di intellettuali può pensare di eliminare questo confine». Abdelkader Benali, che stasera rappresenta il Marocco negli incontri dedicati a «Lingua Madre», ma vive in Olanda dall’età di 4 anni, considera le identità separate «vantaggiose» per gli scrittori: «Chi ha doppie radici come me, cresciuto in una famiglia musulmana all’interno di una società occidentale, può sfruttare proficuamente la miscela di varie culture».
Ma l’opinione più attesa è quella di Tariq Ramadan, brillante autore Einaudi, ex consulente di Tony Blair e nipote di Hasan al Banna, che nel 1928 fondò il gruppo integralista islamico dei Fratelli Musulmani.

Molti lo considerano un riformista e moderato, altri, come Bernard Henri Levy, un integralista antisemita e misogino con presunti contatti con Al Qaida, tanto che il governo americano gli ha revocato tre anni fa il permesso di soggiorno. Ramadan discuterà domani del «caso Londonistan» insieme a Nafeez Mossadeq Ahmed, analista politico e attivista per diritti umani, autore di Dominio e Guerra alla verità (Fazi).

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