Amarcord di salotti letterari con gli Ojetti e i conti Primoli

Il palazzo di via Zanardelli ospita il «racconto per immagini» di una stagione ricca di fermenti culturali

Amarcord di salotti letterari con gli Ojetti e i conti Primoli

Silvia Castello

La mostra «Primoli e gli Ojetti. Il conte, l’architetto, il letterato», allestita alla fondazione Primoli fino al 27 ottobre, è un’autentica riscoperta messa in luce da un suggestivo pro memoria visivo. Un’occasione per conoscere il personaggio e in particolare ripercorrere la trasformazione del Palazzo in via Zanardelli che Ojetti realizzò (1904-11) per Giuseppe Primoli. Si tratta di un racconto per immagini della storia di questo angolo di città, documentato da ritratti di famiglia, acquerelli, fotografie, disegni di progetto ritrovati nell’Archivio Storico Capitolino ed esposti per la prima volta, e materiale della biblioteca legato alle personalità di spicco del famoso salotto mondano-letterario, creato dal conte Primoli quale punto di riferimento culturale della Roma bizantina e belle époque.
Sezione quest’ultima, curata personalmente dal professor Massimo Colesanti, presidente della Fondazione Primoli. Scorrono così, oltre cento lettere dello scrittore e giornalista Ugo Ojetti al conte (1894-1908), introdotto giovanissimo dallo zio ancor prima del padre Raffaello. «Ho conosciuto domenica scorsa, a Roma, al ricevimento di casa Odescalchi, Castelar. È un attore vero: pensi che è spagnuolo e oratore. Lo conosce?(...

) Ha parlato con Finali del Senato, con Antonelli di politica africana (ne hanno dette di belle!), con Pascarella di dialetto romanesco, con Bernabei di arte etrusca, con mio padre (che lo ha preso sul serio e se lo spupazza per Roma) di architettura medievale, con me di letteratura italiana, con Pandolfi (mi par giusto metterlo in fondo) dell'arbitrato per la Pace!» S'incontrano tutti i nomi degli assidui frequentatori di casa Primoli, «che spesso sono l’oggetto di articoli, interviste, note e corrispondenze che il brillante autore pubblicherà, dal 1898, sul Corriere della Sera, cui rimarrà fedele per quasi tutta la sua vita» spiega Massimo Colesanti.

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