Producono reddito, pagano le tasse, ricoprono posizioni strategiche o semplicemente impiegatizie, hanno una famiglia, amici. E fanno uso di droga: fumano eroina prima di andare al lavoro, tirano coca nei bagni, girano con hashish e marijuana nel portafogli. La droga non è solo un'emergenza giovanile. Basta dare un'occhiata alle decine di richieste di «intervento formativo» ricevute dall'Asl di Milano da parte delle aziende. Più di quelle ricevute dalle scuole. Perché? L'altro giorno nel capoluogo lombardo è stata ricoverata una donna intossicata da cannabinoide sintetico acquistato via Internet: non si tratta di una ventenne in cerca di sballo, ma di una signora di 55 anni. A Milano lo scenario privilegiato per fare formazione sulla tossicodipendenza sono gli uffici. Perché l'uso delle droghe sul posto di lavoro non è mai stato così trasversale e diffuso.
Tanto da far dire a Riccardo Gatti, responsabile per l'Asl cittadina del reparto prevenzione droga: «La vera emergenza educativa non è sui ragazzi, ma sugli adulti, su quei genitori ultra-quarantenni che in fondo hanno sempre tollerato un certo tipo di droghe, come la canna. Tra qualche anno avremo l'allarme droga tra i pensionati. Chissà se manderemo in comunità anche loro, continuando a chiamarli ragazzi». Riservatezza assoluta, per ovvi motivi, su quali siano le aziende che hanno richiesto l'intervento dell'Asl. «Quando entriamo in azienda è inutile fare conferenze - spiega Gatti -. Non servirebbe a nulla. Noi puntiamo sulla formazione. Parliamo con la direzione aziendale, ma anche con i rappresentanti sindacali. Spieghiamo loro come agganciare le persone che si sospetta facciano uso di droghe, cosa dire loro e dove indirizzarle per farsi curare». Fino a una decina di anni fa un progetto di questo genere sarebbe stato impensabile. Oggi le aziende si ritrovano a fare i conti con gli effetti di una tossicodipendenza non più agganciata all'emarginazione, ma all'interno dei loro stessi uffici. «Il tossicodipendente è una persona normale che nel 70 per cento dei casi ha un posto di lavoro fisso. L'idea che nessuno se ne accorga è sbagliata. In realtà sono molteplici le possibilità di accorgersi dell'uso di droga di un dipendente: assenteismo, mancato rendimento, progetti lavorativi inevasi - racconta Gatti -. Tutto ciò per le aziende comporta aumento del contenzioso, dei conflitti legali e delle misure disciplinari. Situazioni che non sono a costo zero». L'inaffidabilità dei manager drogati è al primo posto nella graduatoria dei danni che provocano alle loro aziende, secondo una ricerca datata 2003, ma ancora attualissima.
«Io credo che i rischi siano soprattutto due - dice ancora Gatti -. Il primo riguarda la produttività, il lavoro: basta pensare che l'abuso di cocaina può condurre ad uno stato che viene definito “submaniacale” nel quale ogni cosa diventa più semplice, le capacità critica e di giudizio sono affievolite, quelle decisionali alterate. Immaginate le conseguenze di strategie aziendali decise in queste condizioni». Conseguenze che riguarderebbero moltissime persone, anche esterne all'azienda, se la scelta alterata arrivasse, per esempio, da parte di chi lavora in una banca d'investimenti. «Il secondo rischio - prosegue Gatti - è legato alla fornitura delle sostanze stupefacenti. Chi rifornisce i manager di droga, attraverso questa via potrebbe tenerli in scacco. Chiedere loro qualche favore, farsi raccontare strategie che dovrebbero restare segrete. Insomma, per la criminalità questa può essere una strada per entrare nel mondo di imprese e finanza e controllarlo in modo soft». Da doping della vita quotidiana a narco-benessere: il perché manager, ma anche impiegati o operai facciano uso di droghe è racchiuso in questo segmento motivazionale. Ma quali sono gli stupefacenti che vanno per la maggiore tra gli adulti? «La cocaina è l'unica capace di tener testa alla cannabis - spiega il responsabile Asl -, è così diffusa che ormai il mercato è saturo.
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