Ballardini, storia di un mister «normale» e perbene

Ballardini, storia di un mister «normale» e perbene

(...) il coro da tragedia greca e il rosario da sgranare e sono perfetti.
Benissimo, liberissimi di farlo. Ma di che Gasperini parliamo? Di quello che, per anni, ci ha fatto vedere un gioco straordinario o di quello delle ultime due stagioni, quando il gioco straordinario era solo un lontano ricordo? Di quello che giocava con Borriello prima e Milito poi o di quello che, uno alla volta, si è giocato Di Vaio, Crespo, Acquafresca e compagnia (e non ci metto Floccari solo perchè non mi entusiasma nemmeno nella Lazio)?
Alle vedove e agli orfani, consiglio di seguire un po’ Davide Ballardini. Per molti, un tecnico modesto. Per me, un grande allenatore - come si è visto a Cagliari - e anche un grande scopritore di talenti: basta ricordare, come ha fatto ieri l’agente di Edinson Cavani, Claudio Anellucci, che è stato proprio Ballardini, a Palermo, a deviare «Edi» dal ruolo di attaccante esterno a quello attuale, in cui il genio del Napoli sta facendo meraviglie.
Ma, al di là del calcio, che forse è anche la cosa meno importante in questo articolo, quello che mi piace di Ballardini, è Ballardini. Il Ballardini uomo, intendo. Quello che preferisce i classici della letteratura ai quotidiani sportivi. Quello che cita Churchill, non perchè fa figo citare Churchill, ma per quello che dice Churchill. Persino se si parla della partita con l’Inter in Coppa Italia: «Il generale pessimista vede un pericolo anche nell’opportunità, il generale ottimista vede un’opportunità anche nel pericolo». Quindi, per il «Balla» la partita di questa sera è un’opportunità. Il miglior modo per affrontarla.
È uno che parla poco, Ballardini. Parla poco, ma dice molto. Assorbendo la straordinaria lezione del nonno, coltivatore di barbabietole a Bertinoro, Romagna profonda e bellissima, che gli spiegava il valore di ogni parola, dicendone pochissime ed esprimendosi quasi esclusivamente a monosillabi. Ecco, Ballardini è così: le sue parole sono come i suoi capelli.
Però, per l’appunto, il tecnico rossoblù, quando parla, lo fa per dire cose significative: ad esempio, a Lecce, è stato l’unico a ricordare, con una sensibilità rara, Lorusso e Pezzella, due ragazzi della formazione salentina scomparsi, di cui cadeva l’anniversario. Ad esempio, quando gli hanno chiesto perchè è andato via da Cagliari, anzichè arrampicarsi sugli specchi, ha risposto, disarmato e disarmante, che lui e Cellino non avevano trovato l’accordo economico. Ad esempio, quando gli hanno chiesto perchè non si spostava mai dal centro sportivo di Assemini quando allenava il Cagliari, anzichè blaterare scuse inverosimili, ha detto molto semplicemente che lì si sentiva come in paradiso. Ad esempio, quando, alcune settimane fa, di fronte a molte assenze, anzichè iniziare a lagnarsi, ha detto: «Non mi lamento, la rosa è ampia».
Insomma, quando Ballardini parla, Ballardini dice. Concetti non equivalenti. E così, le uniche volte che si è sfogato, l’ha fatto ai microfoni di Radiorai, quando l’inviato a Lecce gli magnificava il Genoa di Gasperini, e quando hanno scritto che i suoi risultati non erano migliorati rispetto a quelli del Gasp. Quel giorno «Balla» si è giustamente arrabbiato: «I casi sono due: o non si è documentati o si è in malafede. Si può essere simpatici o antipatici, ma credo vada detta la verità e che serva lealtà. Si ha sempre meno memoria e meno vergogna per ciò che si fa. Io, con l’età, ho meno memoria, ma viste le mie radici provinciali, e avendo figli, quando sbaglio mi vergogno ancora».
Quel giorno, Ballardini venne molto attaccato per questa esternazione.

Per me, il richiamo all’essere provinciali, al vergognarsi degli errori, al rispetto di se stessi anche per i propri figli e al dovere della lealtà, valgono uno scudetto.
Ballardini parlava di vita, non solo di calcio.

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