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Barenboim: «Io, ebreo suono Wagner con una libanese»

Nell’orchestra Divan dirige 70 israeliani, arabi e Reem Khoury: «Ero nel mio Paese quando è scoppiata la guerra, capisco chi non è venuto»

Sabrina Cottone

da Milano

C’è solo lei, Reem Khoury, a suonare per il Libano. Capelli neri, ventitré anni e il violino sulle spalle, ha lasciato Beirut sotto le bombe ed è partita per la tournée di pace insieme a altri giovani che vivono a pochi chilometri e però in un altro mondo, perché sono israeliani. È il contrappunto perfetto della West Eastern Divan Orchestra di Daniel Barenboim, ebrei e arabi chini sullo stesso spartito in un giro dell’Europa che ha avuto la sua ultima tappa alla Scala.
Il bis scelto da Barenboim, il preludio e morte di Isotta del Tristano di Wagner, è il trionfo della dissonanza. «Un’orchestra israeliana non sarebbe capace di suonare Richard Wagner in Israele e questo è un esempio del miracolo di questo progetto» dice il maestro ebreo che nel luglio del 2001 ha infranto il tabù dei tabù, facendo riecheggiare in un teatro di Gerusalemme le note del compositore amato da Adolf Hitler. Wagner, il musicista che l’ebreo Woody Allen assimila con l’ironia: «Quando lo ascolto troppo, mi viene voglia di invadere la Polonia».
Cinque anni fa a Gerusalemme a Barenboim diedero del «fascista», qualcuno parlò di «stupro culturale». L’estate scorsa la sua orchestra ha suonato a Ramallah, a due passi dallo storico quartier generale di Arafat, mentre le truppe israeliane si ritiravano dalla Striscia di Gaza. Adesso la tensione è più alta che mai. Quindici giovani musicisti, sette libanesi e otto siriani, sono rimasti a casa e non suonano con Barenboim: «Sono triste che la solidarietà li abbia spinti a non venire ma contento che tutti coloro che sono partiti il 24 luglio siano ancora qui stasera». Il maestro dirige settanta giovani israeliani, palestinesi, arabi e appena una libanese. Problemi burocratici e la difficoltà di cercare sintonie anche solo musicali con Israele.
Reem è l’unica che ha valicato i confini. «Fino all’ultimo mi sono chiesta che fare e capisco perfettamente chi ha deciso di non venire. Ero in Libano quando è scoppiato il conflitto e ho deciso di partire per la tournée perché non farlo sarebbe stato come dire: “la guerra è più forte di tutto, anche di questa orchestra”». Reem Khoury usa parole sicure figlie di una scelta piena di dubbi, aiutata dal passaporto svizzero ottenuto grazie agli studi a Ginevra: «All’inizio volevo tornare indietro, incontravo israeliani, coloro che stavano distruggendo il mio Paese. Poi ho visto che non tutti gli israeliani sono per la guerra».
Un dilemma terribilmente uguale a quello di Meirav Kadichevshi, ventottenne oboista. Israeliana. Lei suona nella Divan Orchestra dal 1999 e non esita a dire che «prima il sentimento verso gli arabi era la paura, le notizie arrivavano solo attraverso i media». Suonando Meirav ha capovolto le ragioni del cuore: «Ho conosciuto le persone e credo nella possibilità di vivere insieme». È un’impresa ai limiti dell’impossibile e la senti nelle esitazioni di Ramsi, che vive in un campo profughi a Ramallah eppure suona la viola diretto da un ebreo. «Prima di incontrare Barenboim - racconta e sembra una battuta ma lui è serissimo - gli israeliani che avevo conosciuto erano tutti soldati». Non è troppo diverso da Daniel Cohen, ventidue anni, ebreo: «È difficile combinare la gioia di fare musica alla tristezza della situazione che sta vivendo il Paese».
È banale e un po’ stonato dire che la musica va oltre la guerra. Barenboim non lo fa: «Questa non è un’orchestra per la pace, per trovare la pace serve molto coraggio da parte di ogni individuo». Oltre la musica non c’è niente: «È la musica che è oltre il resto». Non è un’evasione dalla malinconia: «Ci insegna il dialogo. A differenza della parola, consente di esprimersi e ascoltare contemporaneamente.

È la partitura che ancora non esiste in Medio Oriente». Le note celebrano la stridente sovversività del reale. «È orribilmente difficile, mentre i nostri Paesi sono in guerra, chiederci se un mi è troppo alto o troppo basso». Eppure Barenboim è sul podio.

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