Benedetta non si trova Il dramma del padre: «Lasciateci in pace»

Roberto Ciaccia: «Lo studio della lingua, il lavoro... la mia bambina s’è fatta tutta da sola»

Luciano Gulli

nostro inviato a Londra

Fosse stato per lui, per papà Roberto, lui non sarebbbe neppure venuto all’appuntamento con i giornalisti. Poi l’ambasciatore Aragona l’ha convinto. Le staranno addosso, deve avergli detto. Legga una dichiarazione, gli regali dieci minuti, e se li leverà di torno.
Dunque eccolo qui, questo sessantenne venuto da Roma a cercare la sua ragazza. Ostinatamente convinto, in fondo al suo cuore, che un miracolo è ancora possibile. Perché i miracoli sono sempre possibili. Ma anche pronto ad arrendersi. Pronto a sentirsi dire che Benedetta non c’è più. E allora, se davvero sarà così, «pazienza. Purtroppo questa è la vita».
Arriva in ambasciata poco prima delle 8 di sera (le 9 in Italia) accompagnato da un parente. Indossa una maglietta rossa, un paio di jeans, gli occhiali sulla punta del naso. Ha un foglietto in mano. Prende a leggerlo di corsa, come se volesse sbrigare quest’altra pratica nel minor tempo possibile. Ciglio asciutto, secco nel tono. Asciutto, un po’ burocratico anche il testo. Ma tante cose nello sguardo, dietro le lenti: rabbia, speranza, disperazione, impotenza, senso di vuoto. Sentimenti che Roberto Ciaccia, un uomo abituato a non sbandierare i suoi sentimenti, si direbbe, si tiene dentro. Nel salotto dell’ambasciata, in Grosvenor square, c’è anche il fidanzato pakistano di Benedetta, Fiaz Bhatti, jeans e maglietta grigia. Ma se ne sta in disparte. Le telecamere sono tutte per papà Roberto. «Secondo accordi presi col ministero degli Esteri - comincia a dire - sono venuto a Londra per stabilire che cosa è successo a mia figlia e per fornire alla polizia informazioni utili alla sua ricerca».
Scotland Yard gli ha affidato un ufficiale di collegamento, racconta il papà di Benedetta. «Con lui, e alcuni esponenti del nostro consolato, sono stato tutto il giorno a Norwich, dove abitava mia figlia. Siamo stati nella sua casa, una casa dove aveva traslocato da poco. C’è stata un’operazione di ricerca minuziosa. Ma ci vorrà tempo prima che la polizia arrivi a qualche conclusione».
Che altro? Ah, sì. «Vi prego di considerare la nostra angoscia e il nostro desiderio di riservatezza. Quando ci saranno delle novità l’ambasciata ve le comunicherà». Al momento non ce ne sono, dunque. Un’altra giornata è volata via senza un segno, una notizia su cui costruire un po’ di speranza. Ma non è la mancanza di notizie che turba di più, in questi momenti, la famiglia Ciaccia. Sono le notizie sballate, le invenzioni, i pissi pissi che aumentano la sua angoscia e quella della moglie. Non sono piaciute, a Roberto Ciaccia, certe scemate sentite in televisione o lette sui giornali. «C’è stato addirittura qualcuno secondo il quale Benedetta era stata ritrovata viva accanto al suo fidanzato. Voi ve l’immaginate mia moglie che sta a casa e sente una notizia così?».
Ringrazia tutti, Roberto Ciaccia: il sindaco di Roma Veltroni «che mi ha telefonato l’altra sera ed è stato disponibilissimo», l’ambasciatore, i consiglieri, il ministero degli Esteri. Perfino la «Penguin books», la casa editrice dove Benedetta lavorava da ultimo.
Rispettate le nostra privacy, ripete l’uomo. Di Benedetta, di questa sua figlia che forse non rivedrà mai più, il papà vuole ristabilire qualche verità, dire chi era davvero. «Una ragazza che si è sacrificata molto e che si è fatta tutta da sola. Era venuta in Inghilterra come ragazza alla pari. Lavorava e studiava la lingua. È arrivata a prendere quattro diplomi. Dopo due o tre anni ha trovato lavoro al Financial Times. Ma nel frattempo si era iscritta a informatica. Alla fine, il lavoro alla “Penguin”».
C’era quel matrimonio in programma, con Fiaz, messo in calendario per l’11 settembre. «Spero che si possano sposare, se Benedetta si troverà», mormora papà Roberto. «Se no, purtroppo, questa è la vita». Alla moglie, che lo vedrà ai telegiornali della sera, una promessa: «A mia moglie voglio dire che cercherò di trovare nostra figlia. Capito Lella?».
Sul foglietto non c’è scritto altro. Il resto sono quattro parole buttate lì, ma solo per cortesia, solo perché qualche cronista insiste.

«Se la polizia mi ha chiesto effetti personali di mia figlia? No. Le indagini vanno avanti. Novità non ce ne sono». Da stamani la cerca riprende. «Siamo stati in molti ospedali oggi. Domani riprenderemo il giro». Auguri con tutto il cuore, papà Roberto.

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