Alessandro M. Caprettini
da Roma
Il menu sarà stato anche allaltezza, ma sono in molti a pensare che, alla fine, il pasto sia rimasto un po sullo stomaco a Jean Claude Juncker. Perché dopo la sparata di Balkenende contro leccessiva contribuzione degli olandesi (in mattinata) e quella di Chirac contro Blair e a difesa dei suoi contributi agricoli (a pranzo), anche Silvio Berlusconi gli si è messo di traverso nella cena tenutasi ieri sera nel castello di Sinningen e che in pratica ha chiuso il giro dorizzonte bilaterale del presidente del semestre Ue con gli altri 24 capi di Stato e di governo in previsione del summit del 16 e 17 giugno a Bruxelles.
Nulla di personale, si capisce. Il nostro premier è buon amico del primo ministro lussemburghese, anche lui di ceppo popolare. E anzi alla fine delle tre ore di faccia a faccia Fini ha garantito che qualche «passo avanti è stato fatto» perché Juncker ha capito i motivi della nostra protesta. Ma è un fatto che la sua «mediazione» sullo spinoso capitolo dei fondi comunitari, non convince il governo di Roma. Già lo sapeva il presidente del semestre che non sarebbe stato un colloquio facile. Berlusconi, giunto in serata a fianco di Fini ma anche di un inatteso Siniscalco, si era fatto precedere da una lettera in doppia copia - la seconda, per conoscenza, indirizzata a Barroso - in cui esternava le sue obiezioni ad un taglio dei fondi che, nella ricaduta, finirebbe per penalizzare la cosiddetta «politica di coesione». Ossia, i fondi per il nostro Mezzogiorno.
Non è cifra di poco conto. Dalle analisi effettuate a Roma si è capito che un taglio ai contributi destinati alla commissione, ci sarebbe costato allincirca uno 0,4% del Pil: 6 miliardi di euro, 12mila miliardi lanno delle vecchie lire. «Assolutamente inaccettabile» aveva già chiarito Fini giorni fa, minacciando larma del veto (le regole del trattato di Nizza prevedono che ogni cambiamento debba venire adottato allunanimità).
Da ieri anche Berlusconi ha ribadito la possibilità di un «no». Nella lettera cè un richiamo chiaro allipotesi del veto: si dice infatti che il governo italiano manterrà un atteggiamento responsabile «ma non fino al punto di pregiudicare gli interessi del Paese» e che «se questo fosse il caso, ne trarremmo le debite conseguenze». Ma non cè dubbio che, tra una portata e laltra, Berlusconi non labbia ulteriormente chiarito a Juncker che a quanto pare si è mostrato più malleabile. Disposti a qualche sacrificio - ha detto Berlusconi - se anche altri saranno disposti a farne, ma indisponibili a quello che appare un autentico massacro. Il presidente del Consiglio del resto, che è notoriamente uomo fortunato, giusto ieri si è ritrovato nella faretra un paio di frecce in più. Da un lato lo Chirac che ha rifiutato seccamente qualsivoglia revisione della politica agricola che notoriamente premia molto i francesi. Dallaltro il Blair che ha risposto picche allinvito franco-tedesco di rivedere lo «sconto» inglese. Perché mai allora Roma dovrebbe, in nome di interessi superiori, accettare quanto Parigi e Londra rifiutano seccamente?
Uscendo dal castello Fini ha ammesso che la strada è ancora lunga, per un accordo, ma ha giudicato positivo il fatto che Juncker abbia riservato attenzione allatteggiamento italiano. Si vedrà. Altro capitolo della cena di lavoro, il futuro dEuropa dopo il doppio no franco-olandese nei referendum. Berlusconi è tendenzialmente favorevole a procedere nonostante i dubbi inglesi, ma ritiene che più che insistere sulla Costituzione, occorre che a Bruxelles si volti pagina. Ci si occupi cioè di risultati «tangibili» da offrire agli europei: occupazione, crescita, sviluppo, sicurezza interna e ruolo dellEuropa nel mondo. E in questo quadro è stato facile per lui introdurre il discorso del patto di stabilità. Che è indiscutibilmente un ancoraggio sicuro per leuro, ma che oggi diviene un freno a mano sulla via della ripresa.
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