Berlusconi oggi a Washington affronterà la questione Hamas

Il premier suggerisce di appoggiare l’iniziativa di Putin. E sull’Irak dice che è ora di fissare un calendario per il ritiro

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

La visita di Silvio Berlusconi a Washington, che si inaugura oggi, è diversa e più importante di tante sue altre. Prima di tutto perché le parole del presidente del Consiglio italiano avranno stavolta un diverso interlocutore: non più soltanto George Bush, ma il Congresso americano in seduta plenaria e congiunta. Berlusconi non viene soltanto per parlare con il suo «collega presidente», bensì all’America intera. Lo ascolteranno domani senatori e deputati, repubblicani e democratici, conservatori e «liberali». E quindi egli potrà, anzi dovrà, «volare alto». Di colloqui alla Casa Bianca Berlusconi ne ha avuti, in questi anni, un numero quasi incalcolabile e, sia pure in minore misura, ogni capo di Stato o di governo straniero ha un paio di colloqui in dodici mesi. Ma un discorso alle Camere riunite è un’occasione e un onore infinitamente più raro. Di primi ministri italiani, in cinquantacinque anni, ne sono stati insigniti in tre, De Gasperi, Craxi e Andreotti.
Berlusconi viene sì a parlare una volta di più con il capo di un «governo amico», ma viene soprattutto a nome dell’Italia a rivolgersi, attraverso il Congresso, al popolo degli Stati Uniti. Con due argomenti principali: raccontare agli americani cosa ha fatto l’Italia in questi cinque anni nel campo della politica mondiale, le iniziative che ha preso, le decisioni, gli orientamenti. In un certo senso, a rivendicare un bilancio che non solo in Italia è stato spesso, volutamente o meno, insufficientemente valutato. È un’occasione, molto rara, per rendere al nostro Paese un servizio al di là e al di sopra dei governi e dei partiti; a livello, appunto, dell’interlocutore, che è l’America del governo e del Parlamento, della maggioranza e dell’opposizione.
Il secondo tema è collegato al primo: anche se nel colloquio a quattr’occhi con Bush, Berlusconi affronterà, evidentemente, i temi di attualità, esaminerà quello che è accaduto in un paio di mesi dopo il loro ultimo incontro, il discorso al Congresso non potrà non essere di più ampio respiro: riassumere il nostro ruolo nel passato lontano e recente, ma anche esporre le nostre visioni e proposte per il futuro, immediato e in prospettiva.
Tutto sta a indicare che il presidente del Consiglio intende seguire questa strada e cogliere questa opportunità. Non lo si desume da «indiscrezioni» ma da cose che egli ha detto, parole che egli ha pronunciato. Nei suoi interventi più recenti in patria, nella sua presenza televisiva la scorsa settimana su al Jazeera e soprattutto nell’intervista rilasciata per il numero odierno del settimanale Newsweek che contiene frasi illuminanti e delinea la disponibilità a dare seri contributi per il futuro, su scala planetaria.
Non è una novità né una sorpresa che il Medio Oriente vi abbia un ruolo eminente e, forse, preponderante. Le crisi mondiali più acute avvengono in quell’area, dai preoccupanti sviluppi negativi in Irak alla vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi, alle tensioni fra Occidente e Iran, al raptus di violenza integralista che ha scosso un po’ tutti i continenti. Nel suo colloquio di domani mattina con Bush, Berlusconi certamente ascolterà, ma parlerà anche, evidentemente in forma privata. Ma più tardi, di fronte al Congresso, avrà un pubblico molto vasto: l’intera America grazie alla «diretta» televisiva.
Per quello che si può intuire e soprattutto in base alle risposte alle domande dei redattori di Newsweek, i suggerimenti italiani saranno, per usare un aggettivo antico ma esatto, «costruttive». Sull’Irak esse sono riassunte da un appello al «common sense», che è poi il nostro buon senso: sia nel giudizio sulle cause e le possibili conseguenze delle recenti violenze settarie, sia nell’esame delle contromisure possibili. È una questione «di buon senso» definire un calendario di uscita da Bagdad (nel nostro caso da Nassirya) basata sulle «capacità degli iracheni di proteggersi da soli».

E sulla Palestina suggerisce di appoggiare l’iniziativa del presidente russo Putin di avviare un colloquio con Hamas («penso che un approccio del genere aprirebbe la strada a negoziati»), che è sì una «organizzazione terroristica» ma è anche l’espressione della maggioranza in elezioni probabilmente più libere che in qualsiasi altra occasione. Non è la linea che l’istinto suggerisce ai «falchi», ma è coerente con l’impegno, comune a Stati Uniti e Italia, di «prendere il rischio della democrazia».

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