Berlusconi scuote il calcio «Ingaggi folli, vanno dimezzati»

Il motivo per cui il Milan ha dovuto vendere Kakà, il suo gioiello più brillante, è arcinoto da tempo. Per ripianare un buco di oltre 66 milioni di euro e perseguire il nuovo obiettivo del «pareggio di bilancio» il club di via Turati si è tappato il naso e ha lasciato libero il proprio giocatore più rappresentativo.
Ma uno dei motivi per i quali le società di calcio non riescono a sopravvivere autonomamente senza l’aiuto di mecenati del pallone come Berlusconi, Moratti e compagnia, non è tanto il prezzo dei cartellini dei calciatori, quanto il loro ingaggio. Annualmente, il Milan paga 120 milioni di stipendio ai propri tesserati. Idem l’Inter, la Juve si ferma a 115, poi Roma a 65 e Fiorentina a 37. In Italia gli stipendi dei calciatori incidono per il 68% sui guadagni dei club.
«Cifre folli», il primo pensiero del numero uno milanista Silvio Berlusconi che al termine di Milan-Juve di lunedì sera ha fatto i conti in tasca ai calciatori: «Io sono molto preoccupato di questo calcio fuori dalla realtà, i compensi dei giocatori sono inammissibili, lontanissimi dalla realtà economica in cui viviamo: sono fuori da ogni parametro».
La soluzione? Ricalcare pari pari lo sport a stelle e strisce che da tempo ha introdotto il famoso «salary cup». Il tetto dei salari è presente nel football americano (Nfl), nel basket (Nba), nel calcio (Mls), nell’hockey (Nhl): nel 2008 la Nfl ha fissato il limite a 116 milioni di dollari per squadra, contro i 58 milioni della NBA e i 56 milioni della Nhl.
Il premier è convinto che questa sia la strada per salvare il mondo pallonaro: «Bisogna arrivare a una decisione per legge per cui sia adottato in tutta Europa un tetto salariale. Ne ho parlato con Platini e credo che lavoreremo in questa direzione molto presto». A partire dal Milan, visto che «anche i nostri ingaggi - ha continuato Berlusconi - sono fuori dalla realtà e da ogni possibile confronto con il buon senso. Già al 50% sarebbero ingaggi folli. Io avevo pagato Gullit 10 miliardi di lire, ma avevo ricavato 15 miliardi di pubblicità per le mie reti...».
La questione è aperta: alcuni presidenti - Lotito in testa - non vedrebbero l’ora di un tetto salariale, i calciatori un po’ meno. «Forse il presidente Berlusconi pensava al Milan...», la battuta di Fabio Cannavaro che poi si fa più serio e aggiunge: «Non è semplice come può sembrare. Noi giocatori ci rendiamo conto che il momento dell’economia mondiale non è facile: ma non è certo abbassando i nostri stipendi che si risolvono completamente i problemi del calcio». Di parere opposto il presidente della Lazio Claudio Lotito: «Abbiamo intrapreso un percorso di cambiamento del sistema attraverso la costituzione di due leghe - spiega convinto che presto si potrà arrivare all’introduzione del tetto salariale -: il giocatore ha una tutela da lavoratore dipendente, anzi meglio del minatore...». Contrario invece Maurizio Zamparini: «Il salary cap non è praticabile. Limitando il tetto ingaggi si incentivano i contratti non trasparenti». Il patron del Palermo è però d’accordo sulla necessità di un taglio delle spese «almeno del 30 per cento» e sposa la proposta di defiscalizzazione avanzata da Galliani, «è giusta, sono d’accordo con lui. Il calcio dà una montagna di soldi allo Stato. Mi sembra strano che in Europa ci si bacchetti a livello industriale perché altrimenti faremmo concorrenza sleale e poi invece si permetta che ci sia concorrenza sleale nel calcio». Giovanna Melandri chiede che sia Berlusconi a dare il buon esempio, il presidente dell’Assocalciatori Sergio Campana parla invece di provocazione poiché «i cosiddetti milionari top del calcio sono una minoranza rispetto ai 3mila professionisti, la maggior parte dei quali stentano ad avere uno stipendio», mentre Demetrio Albertini, vicepresidente Figc, ipotizza stipendi legati alle vittorie: «Perché non strutturare gli ingaggi in una parte fissa, e una parte variabile da giocatore a giocatore secondo vittorie e introiti dei club?».
In serata, l’interlocutoria risposta dell’Uefa: «La salute finanziaria dei club ed i mezzi per regolare le spese rappresentano une delle precedenze per l’Uefa ed in particolare per il presidente Michel Platini - ha spiegato Robert Faulkner, capo della comunicazione dell’Uefa -.

Ma da un punto di vista legale è praticamente impossibile instaurare un tetto agli stipendi di un singolo giocatore». La soluzione, allora, sarebbe un’altra: «Stabilire un regolamento internazionale - conclude l’Uefa - che vieti ai club di spendere di più per i trasferimenti e gli stipendi di quanto incassato».

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