Gian Micalessin
Se lIran puntava ad innervosire lOccidente ci è riuscito. La caduta dei sigilli e la riapertura degli stabilimenti per larricchimento delluranio di Natanz hanno messo Europa e Stati Uniti di fronte al fatto compiuto. Dopo mesi di avvertimenti, sfide e provocazioni Teheran dimostra di fare sul serio. Ora il riavvio delle attività e la produzione di combustibile nucleare non è più unipotesi, ma una certezza. Lultimo paravento di rispettabilità ancora in piedi è la promessa di non utilizzare lenergia nucleare per scopi militari, ma esclusivamente per la produzione di energia elettrica. Una promessa a cui credono in pochi.
Quando, nel 2003, vennero alla luce i progetti nucleari sviluppati in segreto da oltre diciotto anni, lIran simpegnò a sospendere ogni attività. Con quellimpegno si garantì la disponibilità dellEuropa ad intavolare trattative tramite Berlino, Parigi e Gran Bretagna. Grazie ad unUnione europea garante di fronte a Washington lIran si risparmiò limmediato deferimento al Consiglio di sicurezza e limposizione di dure sanzioni economiche. Ma ora la fideiussione è stata ritirata e lUnione europea si prepara a chiudere la trattativa e rimettere mano alla spada delle sanzioni. Qualcuno come il leader inglese Tony Blair si chiede se nel frattempo quella spada non si sia spuntata e arrugginita. Se non vi sia bisogno di una risposta più concreta. E se Europa e Stati Uniti abbiano la volontà di perseguirla. «La prima cosa da fare è garantire un accordo per il deferimento al Consiglio di sicurezza e su questo tutti gli alleati concorderanno, ma poi dobbiamo decidere quali altre misure adottare e ovviamente non scartarne nessuna». Parole gravi e dure quelle del premier inglese. Molto più minacciose di quelle formulate dal suo ministro alla difesa Jack Straw che martedì aveva scartato la possibilità di unazione militare. Le parole di Blair invece contemplano tutto, anche un raid preventivo o unazione militare più complessa. Dietro laggressività britannica si nasconde la consapevolezza di aver concesso allIran troppo tempo, di aver sottovalutato la decisione del suo regime.
Il tempo trascorso potrebbe aver reso inadeguato il ricorso alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza e alle sanzioni. In questi due anni e mezzo lIran ha avuto il tempo di rivedere le sue relazioni commerciali rispondendo soprattutto alle richieste di greggio di Pechino. Una risoluzione e un embargo dellOnu dovranno fare i conti con il veto dei cinesi o la loro scarsa disponibilità a rispettare le sanzioni. Non a caso ieri lex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani ha liquidato come futile la minaccia di sanzioni commerciali. «Difenderemo il nostro diritto alla tecnologia nucleare e loro si pentiranno per aver cercato di crearci dei problemi», ha detto Rafsanjani nel sermone pronunciato durante la solenne preghiera dellEid al-Adha allUniversità di Teheran. «Tenere il Terzo mondo e la civiltà islamica dietro lOccidente fa parte della politica coloniale dellOccidente, ma anche se distruggeranno i nostri scienziati ha aggiunto lex presidente iraniano i loro successori ne continueranno il lavoro».
Subito dopo è toccato al presidente in carica Mahmoud Ahmadinejad confermare la determinazione iraniana. «Abbiamo riavviato la ricerca nucleare e se Dio vorrà in un prossimo futuro metteremo questenergia a disposizione del popolo iraniano».
Di fronte a questa totale chiusura lUnione europea cerca una risposta efficace. I ministri degli Esteri di Gran Bretagna, Francia e Germania, sincontrano oggi a Berlino per definire, dintesa con il responsabile per la sicurezza della Ue Javier Solana e con la partecipazione telefonica del segretario di Stato americano Condoleezza Rice, la sospensione dei negoziato e il deferimento al Consiglio di Sicurezza. Ma anche far votare al prossimo direttivo dellAiea il rinvio dellIran al Palazzo di Vetro non sarà facile. Lopposizione di Russia, Cina e dei «non allineati» guidati dallIndia ha già bloccato le mozioni di americani ed europei. Oggi anche la Russia, principale fornitrice di armi e tecnologia nucleare allIran, si dice preoccupata e il suo ministro degli Esteri Sergei Ivanov definisce la posizione di Teheran «causa dallarme». Nondimeno la Repubblica Islamica è pronta a sfruttare al meglio tutte le divisioni.
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