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Bobo e Stefania fanno la pace sulla tomba di Craxi a Hammamet

I figli del leader socialista si riconciliano durante una cena. Ma le distanze politiche restano. Ieri funzione religiosa nella cittadina tunisina, chiesa stracolma

Bobo e Stefania fanno la pace 
sulla tomba di Craxi a Hammamet

nostro inviato ad Hammamet

Piove e fa freddo. È un clima meneghino più che africano ad accogliere il viavai continuo sulla piccola tomba bianca che guarda il mare nel cimitero cristiano a lato della vecchia Medina. Occhi umidi, qualche garofano rosso portato dall’Italia, fotografie-ricordo tra un singhiozzo represso a fatica e un abbraccio ad un vecchio compagno che non si incontrava da anni.
Son dieci anni dalla morte di Bettino e il pellegrinaggio - mai interrotto - riprende fiato. Forse perché, come ammette Stefania Craxi, si avverte che «l’atmosfera in Italia è radicalmente cambiata». A confermarlo, la presenza ad Hammamet, sia pure a titolo personale, di ministri come Frattini, Brunetta, Sacconi. Il messaggio annunciato di Giorgio Napolitano che Anna Craxi fa sapere di «apprezzare» e di voler leggere come «un buon segno». Ma anche da quello che ancora Stefania definisce «lo tsunami mediatico degli ultimi giorni». Quelle riprese d’antan che vari canali tv hanno riproposto di recente e in cui si scorge lo statista e non l’esule, men che mai il latitante. Paolo Pillitteri, il sindaco della Milano da bere, cognato di Bettino, sospira e rivela: «Craxi direbbe: era ora! Fino a pochi anni fa prevaleva la demonizzazione, poi lentamente la sua figura è stata sottratta al cono d'ombra giudiziario. Anche perché la storia non si chiude in sentenze!».
Saluta Pillitteri i tanti che cominciano a darsi il cambio davanti alla tomba dell’ex-premier. La cerimonia di commemorazione, vera e propria, avrà luogo solo stamane, dopo che ieri sera in un cinema locale si è proiettato L’esilio, seconda parte del docu-film promosso dalla Fondazione Craxi. Ma già ieri sono passati a centinaia, a recitare una preghiera, a rendere omaggio a quello che un socialista di Roma non fa fatica a definire «un grand’uomo». Ci sono vecchi compagni di tante battaglie come Rino Formica e Gianni De Michelis, ma anche ragazzi e ragazze che forse di Bettino hanno solo sentito parlare da parenti o amici. «Io - racconta un ragazzo calabrese del gruppo portato dal segretario dei Giovani socialisti Uniti-Psi, Nicola Carnovale - penso che Craxi abbia rappresentato qualcosa di importante nella politica italiana. E che sia ora che lo si riconosca formalmente».
Stefania non ha dubbi che così sarà. E presto: «Sono convinta che nessuno sciagurato provocatore potrà impedire che Craxi torni a far parte della storia positiva della Repubblica italiana». E come lei la pensa anche De Michelis: «Con il passare degli anni - rileva l’ex-ministro del Psi - la verità riemerge, anche credo come conseguenza della crisi e delle difficoltà che il Paese ha incontrato in questi anni: la gente rivaluta quello che i socialisti e Craxi hanno fatto negli anni ’80». Annuiscono intorno a lui ex amministratori locali, dirigenti di secondo piano del garofano di 20 anni fa, amici o soltanto simpatizzanti che hanno colto l’occasione del decennale per tornare sulla scena. Voglia di rivalsa? Qualcuno non la nasconde. Parla di un Psi da rivitalizzare ora che il bipolarismo mostra qualche falla e che riprendono a soffiare venti tempestosi sulle inchieste di Antonio Di Pietro. È lui il «grande Satana» cui si guarda con volto torvo e cui si pensa con un mix di rabbia e sospetto. E che si esclude seccamente dal possibile numero dei penitenti, ammesso e non concesso che all’ex-pm ne punga vaghezza: «Mai Bettino avrebbe voluto esser riabilitato dai suoi carnefici!». Fa quadrato davanti alla chiesetta un gruppetto di lombardi che attende la signora Anna e i figli per la messa di ricordo che sarà celebrata dal vescovo di Tunisi. Il vangelo che legge è quello delle nozze di Cana e di lì prende il pretesto per esortare le famiglie a restare unite come quella di Craxi. Forse aveva saputo della riconciliazione che i figli di Bettino avevano sancito a cena con la madre, la sera prima. Un abbraccio e un bacio come non accadeva da tempo. Un piccolo miracolo del decennale, anche se le distanze politiche restano, visto che Stefania accoglie i tanti arruolatisi nel centrodestra all’hotel Mehari, mentre il fratello assieme a Riccardo Nencini ha scelto il Marhaba Palace per salutare quelli che fan parte del nuovo Psi o che oggi hanno scelto una militanza a sinistra.
Ma non sono solo italiani a ricordare Craxi. Ad Hammamet persino il tassista tiene a far sapere come Bettino fosse «uno dei loro», un uomo buono che distribuiva danaro ai più poveri come i piccoli venditori di gelsomini cui lasciava sempre qualche dinaro senza pretendere i loro mazzetti. «Monsieur le president» continuano a chiamarlo. E nei locali dove amava passare qualche ora trovi ancora le sue foto e chi è pronto a parlarti di lui come di «un vero amico della Tunisia». Cui si è aggiunto da qualche tempo, con analogo titolo, un altro ex-parlamentare socialista, Pierluigi Polverari, da 15 anni ad Hammamet - una villetta sui vicoli di Sidi Bou Said proprio accanto a quella di Bettino - assieme alla moglie ed al figlio dopo esser finito nel tritacarne di Tangentopoli fra gli indagati eccellenti. «Ricevetti il primo avviso di garanzia con Moroni che poi si sparò 20 giorni dopo, nel ’92». Concussione, corruzione, tangenti. Richieste per almeno 8 anni di galera. E invece? «Invece dopo 10 anni sono stato assolto da ogni accusa, senza patteggiamenti né prescrizioni». Soddisfatto allora? Lui china il capo su cui troneggia il classico fez rosso che regalò anche a Craxi e sbotta: «Vorrei non vedere più, se possibile questa giustizia. A fronte dei danni subiti non metterei più piede in un tribunale. Non ho rancori e sono abbastanza sereno, ma la giustizia è una macchina tritauomini, dove il debole viene massacrato il forte si salva. Io ho avuto la fortuna di essere ancora vivo, grazie anche all’amicizia di Craxi che mi ha sostenuto, e a questo Paese che mi ha accolto consentendomi di rifarmi una vita. In fondo sono stato fortunato».

Bettino, ahimè, lo è stato molto ma molto meno.

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