Politica

Caldarola (Ds): il premier laburista è criticato da Bertinotti per il legame con gli Usa e da Amato per la sua visione dell’Europa, ma su entrambe le questioni ha ragione lui «Con Chirac contro Blair? La sinistra è folle»

«Rutelli blairiano? Sì, ma non riesce a tenere separate la fede e la politica»

Laura Cesaretti

da Roma

«Il centrosinistra italiano rischia di restare l’ultimo amico di Jacques Chirac e il primo avversario di Tony Blair: mi pare un grosso problema, se non addirittura un segnale di patologia». È netto Peppino Caldarola, parlamentare ds e firma di punta de Il Riformista, nel bocciare le diffidenze e le aperte ostilità dell’Unione di Prodi nei confronti del premier laburista britannico.
Onorevole Caldarola, perché la sua parte politica ha paura di Tony Blair?
«Un motivo di dissenso forte è sicuramente stato la sua adesione alla guerra in Irak, ma c’è anche altro e di più antico. Il problema è che Blair è un riformatore serio, ha profondamente innovato il welfare, è un leader che ha messo al centro della sua politica una nuova fase di sviluppo per il suo paese, ha incardinato il rapporto con l’Unione europea dentro un saldo asse euro-atlantico, in legame stretto con gli Usa prima di Clinton e poi anche di Bush. Difficile da digerire per gran parte della sinistra».
Ma l’avversione per Blair non sta solo nella sinistra radicale, anche Prodi e Amato lo criticano. Perché?
«È vero, c’è un doppio dissenso nei suoi confronti. E onestamente mi pare che non valga neppure la pena di confutare gli argomenti di chi lo vorrebbe addirittura espellere dalla sinistra europea, è semplicemente ridicolo. Ma c’è anche la diffidenza dei non radicali verso di lui: quella di chi coltiva ancora un’idea di Europa incentrata sull’asse franco-tedesco, antagonista nei confronti degli Usa, e che non tollera l’atlantismo del premier britannico. Prodi non ha avuto rapporti facili con lui, durante la sua presidenza Ue. Certo c’è anche una parte di responsabilità di Londra, ma è vero anche che Blair è il leader inglese che ha fatto passi avanti più decisi in Europa. Ma lo stato maggiore del centrosinistra nutre dissensi che non condivido: io penso che sia essenziale un’Europa molto unita agli Usa, fatta di meno vacche francesi e più innovazione tecnologica, e che il modello di riforma del welfare inglese sia il più avanzato in Europa. Servirebbe una cura britannica alla sinistra italiana».
Insomma l’Unione dovrebbe guardare più a Londra e meno a Parigi e Berlino?
«Beh, finora non mi pare che dalla sinistra francese o tedesca siano venute grandi novità entusiasmanti. Dalla Gran Bretagna forse sì. E anche quando ha sbagliato, Blair ha dimostrato di essere un hombre vertical, uno che sa tenere le sue posizioni con dignità e coraggio. Suggerirei ai leader italiani di non sottovalutare un piccolo particolare: ci sarà pure una ragione per cui un signore vince per tre volte consecutive le elezioni, o no?».
C’è qualche dirigente della sinistra italiana che cerca di invertire la tendenza e di guardare al modello britannico?
«Sicuramente Piero Fassino. Il segretario ds è uno che ha in testa il problema di come rinnovare la sinistra occidentale da molto tempo, ben prima di arrivare al vertice della Quercia. Basti ricordare i suoi rapporti con Israele, assolutamente migliori di quelli degli altri dirigenti ex Pci, e anche quelli con gli Stati Uniti. Talvolta lo critico, come si sa, ma su questo fronte Fassino è quello più in grado di recuperare il rapporto con Blair. Anche perché regalarlo a Berlusconi è veramente una follia totale».
Un altro blairiano convinto è Rutelli...
«Sì, ma con un’anomalia: Blair è un cristiano, un leader credente come molti laburisti. Ma appartiene a una tradizione molto laica, che tiene ben separato lo Stato dalla Chiesa, la fede dalla politica.

In Rutelli questa separazione non la vedo molto».

Commenti