Politica

Candidati come figurine? Così fan tutti (da sempre)

RomaVeline, soubrettes, certo. O «Mignottocrazia», per stare all’elegante (e recente) conio di Paolo Guzzanti, impegnato in una polemica all’ultimo sangue con il ministro Mara Carfagna. O assalto dei «Velini», come ha corretto il democratico Roberto Giachetti, lamentando una non esaltante par condicio tra i sessi, nell’esercito di candidati-civetta. O «dittatura dei mezzibusto», come ulularono gli uomini della sinistra di fine anni Ottanta alla candidatura di Alberto Michelini nella Dc, salvo ritrovarsi una dozzina di mezzibusto nelle liste successive (del loro partito!).
La sequenza di nomi arrivati nel centrosinistra dalla «scuola quadri» di Saxa Rubra è impressionante: due presidenti di regione nel Lazio, Piero Marrazzo e Piero Badaloni, una eurodeputata eletta, Lilli Gruber, l’ultimo aspirante, l’ex conduttore del Tg1 David Sassoli.
Insomma, se si deve datare il fenomeno degli acchiappa-voti, bisogna partire da lontano, dai velini e dai proto-velini, perché le candidature civetta hanno radici antiche. Per dire. Una delle prime a far parlare dell’Italia nel mondo fu Ilona Staller detta «Cicciolina»: valanga di voti nelle liste radicali alle politiche ’87. Ilona venne eletta, entrò a Montecitorio con un sobrio vestito verde, e ruppe con il suo «demiurgo» in un memorabile comitato direttivo radicale - lo ricorda Filippo Ceccarelli nel suo imprescindibile Il letto e il potere - tra reciproche apostrofi: «Cicciolino Marco...» diceva flautata ma granitica lei, e «Cara Scemolina...» rispondeva sarcastico e imperturbabile lui. Duello divino. Mentre si rivelò un buon presidente del partito radicale il padre di Volare Domenico Modugno, di cui nessuno avrebbe ipotizzato una carriera politica. Sempre sotto le insegne della Rosa nel pugno si candidò un giovanissimo Maurizio Costanzo. E poi una cantante come Miranda Martino, e l’attrice Ilaria Occhini.
Che dire di Pietro Mennea? Iniziò la sua carriera politica - inversamente proporzionale, per successi raccolti, a quella sportiva - nelle liste del Psdi, per passare alla Rete di Orlando, quindi nel Polo (candidato a sindaco - trombato - nella sua Barletta) e all’Italia dei valori (Bingo). E che dire di un altro long seller, Gianni Rivera? Ben prima di Giovanni Galli trasmigrava dal calcio alla politica, passando per la Dc e per l’Ulivo. Anche l’ex juventino Massimo Mauro fu arruolato nel Pds (deputato), ora è tornato senza clamori alle domeniche sportive da commentatore. Moana Pozzi, prima di diventare un mito hard, fece in tempo ad essere trombata con il suo «schicchiano» Partito dell’Amore (che non raggiunse il quorum e aveva il suo viso inscritto in un cuore, come simbolo).
Il Pci fece i primi sgarri ad un costume un tempo sobrio mettendo in pista, alle politiche del 1987, Gino Paoli (arrivò a Montecitorio, ma non lasciò grandi tracce). E persino la seriosissima Dp, nello stesso anno, affidò il cruciale appello elettorale al volto notissimo di Paolo Villaggio, che si presentò nella sede delle tribune con i bracaloni. I Verdi hanno eletto più volte l’alpinista Reinhold Messner. I socialisti di Craxi non furono da meno, quando portarono nell’europarlamento la giovane star dell’intrattenimento, Gerry Scotti. Il quale, molto onestamente, in anni successivi ammise: «Feci male a candidarmi». Sempre mamma Dc riuscì a far diventare senatore il presidente della Roma Dino Viola, grazie all’effetto scudetto. E cercò di pareggiare il conto fra tifoserie giallorosse e biancazzurre, nella Capitale, buttando nella mischia nientemeno che Giorgio Chinaglia. Un altro e centravanti della Roma, Andrea Carnevale, divenne un improbabile responsabile sport dell’Udeur senza riuscire a conquistare seggi, mentre Fabio Fazio (chi se lo ricorda?) accettò di fare da «garante» per i Verdi di Luigi Manconi. Nel Pds venne euro-eletto Enrico Montesano (che fece però in tempo a passare ad An). Che condivise i banchi del consiglio comunale con Adriano Panatta (anche lui nella Quercia, al pari del signore degli anelli, Juri Chechi). E persino il Pri riuscì a mettere il lista un pugile, come Francesco Damiani. Altri sportivi trovarono sistemazioni non meno confortevoli: Carmine Abbagnale nelle liste della Dc, Gelindo Bordin e Paolo Canè all’ombra del garofano.
Ma quanti sanno che una futura rockstar come Luciano Ligabue era stata consigliere comunale nella sua Emilia Romagna? E i finiani di «Fare futuro» ricordano, forse, il bel primo piano di Monica Ciccolini (una imprecisata imprenditrice) che addobbò i manifesti con uno slogan ammiccante («A me gli occhi»!) eletta in An prima e in Forza italia poi (grazie alla sua avvenenza?). E da quale fondazione provenivano altre due aennine come l’attrice Clarissa Burt e la giornalista Solvi Stubing, la memorabile «Chiamami Peroni, sarò la tua birra!». E quanto tempo c’è stato in An Lando Buzzanca? (Gianni Alemanno non gli ha mai perdonato un appello per Veltroni). Stessa storia per la cantante pop Marcella Bella. Per Bruxelles - sotto le insegne di Forza Italia - è passata anche Iva Zanicchi, e in parlamento è ormai considerata ormai una veterana (anche se bersagliata dalle Iene) Gabriella Carlucci. Sabrina Ferilli, corteggiatissima, non ha mai ceduto alla politica, se non per la battaglia civile del referendum sulla procreazione. Ma ci sono anche casi paradossali: come Alba Parietti che si è offerta per risollevare l’Ulivo.

Invano. Sarà il caso di riprovare ora?

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