Cina, condanna a Natale per il dissidente simbolo

La scelta del giorno di Natale (sperando nella distrazione dei media) per emettere il verdetto più atteso dell’anno, culmine dell’ennesimo processo-farsa nella Repubblica popolare cinese, non ha impedito che un coro di critiche e proteste internazionali si levasse contro Pechino. Stati Uniti, Unione Europea, Onu. Le maggiori potenze occidentali e le Ong schierate in difesa dei diritti umani. Tutti contro la decisione di un tribunale cinese che il 25 dicembre ha comminato una pena di 11 anni di reclusione a quello che ormai è il più noto dissidente cinese, Liu Xiaobo.
I giudici, che in Cina non sono indipendenti dagli interessi del Partito comunista, lo hanno ritenuto colpevole di volere «sovvertire la dittatura democratica del popolo della nostra nazione e il sistema socialista». È la conferma che la «società armoniosa», perseguita come nuovo orizzonte dal presidente Hu Jintao, non accetta alcuna forma di libertà di espressione o di dibattito politico.
Cinquantaquattro anni il prossimo lunedì, Liu Xiaobo di fatto è colpevole di aver chiesto riforme politiche, maggiore democrazia, rispetto per i diritti umani. Per lui si tratta della terza condanna in 20 anni. La prima volta era stato condannato a 20 mesi di carcere per uno sciopero della fame durante le proteste di Tienanmen, nel 1989, quando era docente di letteratura; la seconda negli anni Novanta, quando era stato condannato a tre anni in un campo di rieducazione. La repressione del regime non lo ha intimorito e l’anno scorso è stato arrestato di nuovo per essere stato tra i promotori di Charta 08, l’appello rivolto al governo cinese, ispirato a Charta 77, con cui i dissidenti cecoslovacchi auspicarono la modernizzazione politica del regime comunista.
Il documento, pubblicato su Internet, chiedeva alla leadership cinese maggiori attenzioni sui diritti umani e riforme politiche e sociali come la separazione fra governo e Partito comunista, e la distinzione dei poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo. Il documento chiedeva anche piena libertà religiosa per le comunità di tutte le fedi. Oscurato sulla Rete, Charta 08 è stato subito firmato da circa 300 intellettuali, personalità dell’establishment e cittadini comuni. Diffuso poi in modo clandestino, è stato sottoscritto da decine di migliaia di persone, fra cui membri del Partito e cinesi espatriati.
Fra i firmatari di Charta 08, Liu è la sola persona ad essere stata arrestata e condannata. Prima del suo processo, svoltosi il 23 dicembre, almeno altri 300 firmatari hanno chiesto di essere processati con lui, perché in totale sintonia con le sue idee. Durante l'udienza, la corte ha limitato il tempo per la difesa di Liu a 14 minuti, lo stesso tempo usato dai magistrati solo per delineare le ipotesi di reato, ha spiegato l’avvocato difensore. A Liu non è stato permesso di ribattere alla sentenza. La moglie dell’attivista, Liu Xia, ha raccontato che le sono stati concessi 10 minuti per stare insieme al marito che le ha detto che farà appello, anche se consapevole che le possibilità di successo sono basse.
Il commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillai, ha definito «estremamente aspra» la sentenza. L'ambasciata Usa a Pechino ha chiesto l'immediata liberazione di Liu, mentre la Svezia - presidente di turno dell’Unione europea - si è detta «profondamente preoccupata». Stessa posizione espressa anche da Francia e Italia. Nel condannare la decisione dei giudici cinesi, in una nota la Farnesina auspica che la questione venga affrontata in maniera costruttiva all’interno del quadro di dialogo tra Ue e la Cina.


Per altri dissidenti, interpellati dall’agenzia AsiaNews, è chiaro che «con l’Occidente indebolito e la questione dei diritti umani passata ormai all’ultimo posto, Hu Jintao può ignorare le pressioni sui diritti umani e la libertà di espressione».

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