Controstorie

La città dell'immondizia che rifiuta di arrendersi

Garbage City è un angolo di inferno ignorato persino dal governo. Dove regnano gli spazzini

La città dell'immondizia che rifiuta di arrendersi

Crudo, sconvolgente, illuminante e drammaticamente reale. Questi sono gli aggettivi che meglio rappresentano il quartiere Manshyet Naser, la Garbage City del Cairo. In questo microcosmo egiziano, non certo a distanza di sicurezza dalla scintillante zona luxury di Zamalek, vivono esseri umani devastati dalla miseria, dalla fame, dalle malattie, costretti a vivere come animali, per strada o in baracche fatiscenti, bimbi costretti a frugare tra i rifiuti per l'intera giornata o a lavorare almeno sedici ore in luoghi infimi e malsani, padri di famiglia pronti a qualsiasi sacrificio per portare a casa un pugno di riso. Garbage City è il simbolo di un'umanità straziata, ma tanto dignitosa e generosa.

Erano gli anni Quaranta del secolo scorso, quando a Manshyet Naser arrivarono dei profughi, per lo più copti ortodossi, scappati dalla parte meridionale del Paese, colpito dalla siccità. Oggi in quell'insediamento sotto il colle Moqattam, vivono trentamila persone. Le tende hanno lasciato posto alle case, e anche a condomini alti parecchi piani, acqua e luce sono arrivate di recente. Benvenuti a Garbage City, la Città dell'immondizia. Molto è cambiato dai primi anni. I passanti dicono che anche l'odore è diverso. Raccontano che non si poteva respirare, mentre oggi è più accettabile. Purtroppo la prima zaffata induce alla nausea. Poi ci si abitua. E molto rimane uguale. La zabbala (parola araba che significa immondizia) resta protagonista. Capre e cani randagi continuano a razzolare tra i rifiuti, di cui strade, cortili e terrazzi abbondano. A Garbage City vivono gli spazzini (zabbalini) del Cairo. Raccolgono l'immondizia (circa 3.000 tonnellate al giorno), la differenziano (a donne e ragazzi l'ingrato compito di separare i rifiuti) e riciclano il riciclabile. E se ieri i grandi sacchi di yuta venivano per lo più trasportati su carretti tirati da muli, oggi se ne vedono sempre meno, hanno lasciato il posto a camioncini e pick-up, i cui cassoni vengono caricati all'inverosimile, pericolosamente in bilico. Chi arriva con i rifiuti raccolti, chi se ne va con quelli sminuzzati, perché tutto viene ridotto al macero, poi c'è chi si occupa della commercializzazione. Gli zabbalini raccolgono i sacchi lasciati fuori dagli appartamenti e fanno ritorno verso casa, dove scaricano la spazzatura raccolta. La prima a essere separata è l'organico, che costituisce circa il 50% del raccolto. Viene dato in pasto ai maiali, che in genere ogni famiglia alleva nell'area retrostante la casa, e così smaltito. E ancora poi, si dividono carta, cartone, plastica, ferro, alluminio e residui tessili. Tutti rifiuti che vengono tenuti all'interno delle abitazioni, a volte anche per una settimana o più, per poi esser venduti ai riciclatori che si trovano sempre all'interno dell'area della Garbage City. Proprio i maiali, considerati «haram» in Egitto, «peccato», svolgono qui una funzione fondamentale e necessaria per la popolazione e per la vita della città.

Se le piramidi in Egitto sono la vita passata, questa è la vita reale. Ogni negozio, ogni magazzino, ogni casa, ha la porta aperta sulla strada. Affacciandosi si nota una gran frenesia: il meccanico, il fornaio, i saldatori, il macellaio, tutti indaffarati. Chi non lavora, sta al bar a fumare la shisha (narghilè). Ci sono anche l'ospedale e una piccola clinica, tanto più necessari in un luogo che, a causa dei gas dannosi sprigionati dai rifiuti, registra una forte incidenza di patologie respiratorie, infettive e della pelle. C'è la scuola fino alle medie, ma parecchie famiglie iscrivono i figli, ma poi li tengano a casa, perché sono più utili nel lavoro di divisione dei rifiuti.

Garbage City è un mondo ai margini, che il governo non ama raccontare (chi lavora con i rifiuti è considerato di livello sociale inferiore), anzi, in qualche periodo le autorità hanno cercato di rimuoverlo, ma gli oltre 20 milioni di abitanti della capitale egiziana producono un ammontare di rifiuti che, senza gli zabbalini, rischierebbe di diventare un problema di salute pubblica. La storia degli zabbalini viene da lontano, più per tradizione, che per distanza geografica. Una tradizione su cui suor Madelein Cinquin, nota al mondo come suor Emmanuelle d'Egitto, incise con pazienza, tenacia e sudore. Il suo sogno di dedicarsi ai poveri si realizzò dopo i sessant'anni (era nata a Bruxelles nel 1908).

Quel sogno prese la forma di Manshyet Naser, un quartiere che, per i suoi abitanti infestati da pulci e pidocchi, era la vergogna del Cairo. Suor Emmanuelle vi si trasferì, avversata da tutti. Dalla sua comunità, che non capiva la scelta di vivere in un tugurio, in compagnia di topi e scarafaggi, dalla gerarchia copta, dagli integralisti musulmani, ma anche dagli stessi zabbalini, che faticavano a credere alla sua buona fede. Pensavano che lei, cristiana cattolica, li volesse convertire. Fu un'impresa titanica quella che la suora belga si prefisse. Ma in dieci anni quel quartiere, che tanto assomiglia alla più famosa «Città della gioia» raccontata dallo scrittore Dominique Lapierre, cambiò aspetto. L'orgoglio dei bambini di saper leggere e scrivere, la soddisfazione delle donne di poter cucire la loro galabeya (la classica veste araba), erano impagabili. Suor Emmanuelle andò oltre: fece edificare un ambulatorio, l'inceneritore, la scuola, l'asilo, il laboratorio artigiano, il campo sportivo, il cinema all'aperto. Restò nei cuori degli abitanti come la religiosa che ridiede dignità a chi l'aveva perduta in un mare di rifiuti. Questa è stata la vita della madre Teresa d'Egitto, morta nel 2008, un mese prima di compiere cento anni, forse meno mediatica di quella albanese, ma altrettanto santa.

Sono trascorsi 12 anni dalla dipartita della religiosa, e Garbage City ha perso nuovamente la voglia del riscatto sociale.

Senza riferimenti, e con un governo che continua a negare l'esistenza del quartiere Manshyet Naser, Garbage City resta una bizzarra meta turistica per il visitatore, ma un girone dell'inferno per chi affronta una quotidianità crudele.

Commenti