Collegio composto solo di donne? In Italia era vietato per legge

A scanso di equivoci sulle persone, chiariamo subito che penso che le tre donne incaricate di formare il collegio giudicante che valuterà la colpevolezza di Silvio Berlusconi, nel giudizio immediato del prossimo 6 aprile, siano di sicuro molto preparate ed esperte, altrimenti non sarebbero state chiamate a un compito di tale delicatezza. E da un certo punto di vista, è normale che sia così, dal momento che da diversi anni le ragazze sono generalmente assai più brave dei colleghi maschi, molto più applicate, motivate, desiderose di dare alla propria vita un senso non solo lavorativo, ma esistenzialmente compiuto.
Dato per scontato che le tre componenti di quel collegio siano più che capaci, è forse il caso di porre all’attenzione un dato di carattere tutt’altro che scontato: e cioè la circostanza che ci sarà pur sempre qualcuno che maliziosamente vorrà malignare su donne che giudicano un uomo accusato di aver vittimizzato un’altra donna, per di più minorenne, inducendola a prostituirsi. È un pensiero infondato, naturalmente, ma di pensieri infondati son piene le cronache delle vicende italiane degli ultimi decenni: e tuttavia, può essere - pericolosamente - un pensiero che poco a poco si fa strada nella immaginazione collettiva.
Sarebbe allora il caso di rammentare che fino ad appena un ventennio fa un’apposita norma stabiliva che dei sei giudici popolari chiamati a integrare il collegio togato delle Corti d’Assise, almeno tre dovevano essere necessariamente uomini: e ciò non durante la prima guerra d’indipendenza, ma, ancora, mentre l’Italia vinceva i campionati mondiali in Spagna. Certo, oggi la cosa può far sorridere, ma bisogna sforzarsi di cogliere quale fosse stata in passato la preoccupazione del legislatore: quella di evitare che si potesse, anche in modo indiretto, malizioso, strumentale quanto si voglia, revocare in dubbio la legittimità di una sentenza della Corte d’Assise - chiamata a giudicare i reati più gravi, quali omicidi o stragi - mettendo in luce come una composizione tutta femminile non garantisse le necessarie freddezza e obiettività, stemperate da una umanissima emotività.
I tempi oggi sono molto cambiati. Ma siamo proprio sicuri che quelle esigenze siano del tutto scomparse? Siamo certi che si possa fare a meno di certe cautele? E allora coma mai un settimanale certo autorevole come Famiglia cristiana, quando si è conosciuta la composizione tutta femminile del collegio per Berlusconi, non ha saputo resistere, evocando addirittura una «nemesi» storica?
Sta di fatto che un modo certo per alimentare le polemiche sarebbe quello di far giudicare un malfattore che abbia truffato una povera ultraottantenne, da un collegio formato da tre signore ultraottantenni; chi sia accusato di furto di frutta, da tre fruttivendoli. Al contrario, tutta la nostra tradizione giuridica si muove nella direzione opposta, che vuole che l’imputato sia giudicato dai propri «pari» (nel senso dei «Pari» d’Inghilterra), allo scopo di garantire maggiore trasparenza possibile fra giudici e giudicando.
Certo, quanto appena detto si colloca come si di un palcoscenico, - il grande theatrum mundi - dove si svolge quotidianamente la grande rappresentazione della vita degli uomini e delle loro istituzioni: infatti, non è per nulla sicuro che il «pari» dell’imputato sia davvero più equanime e imparziale di altri giudici.

E tuttavia, in linea di principio, anche se non lo fosse, avrebbe tutti i numeri per sembrarlo e per placare sul nascere ogni forma di risentimento sociale: anche di questo è fatta la giustizia ed anche di questo c’è oggi bisogno.

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