«Dalla condanna di Dante non è cambiato nulla: la parola fa sempre paura»

Milano«Il teatro, la poesia. La filosofia. Sono queste le discipline che da sempre spaventano i regimi. La pittura, la musica sono meno pericolose». Franco Loi racconta. Parla di poesia, della sua, di quella libertaria, che irrompe. Sta per uscire un suo nuovo libro, «La luce della poesia» edito dall’Università di Parma. Si parte da lì. Seduti a un tavolo nel suo studio. Il poeta racconta e parla di verità. Di fede. «Il regno dei cieli è in voi, diceva Cristo a Luca. Il poeta cerca nella realtà che lo circonda la verità, insomma, il regno dei cieli».
Due poeti, uno in Cina e uno in Arabia Saudita sono in carcere per aver scritto poesie. Che potere ha la poesia?
«Quello della parola. Se è vera è lo strumento più forte, in grado di scuotere la coscienza. Beh non dimentichiamoci che anche da noi Dante è stato condannato al rogo. E fino al 700 non si è potuto parlare di lui. Lo stesso Petrarca è stato accusato di eresia. In una lettera al fratello aveva scritto: la poesia è sempre una sacra scrittura. Sacro va inteso secondo l’etimo indoeuropeo sac, che significa lontananza. Chi riempie, cioè il lavoro del poeta. La stupidità del potere è stata sempre quella di tenere soggiogati i suoi sudditi, separati dalla verità. È quello che succede in Cina, in Arabia Saudita».
La poesia può essere uno strumento di libertà?
«Le rispondo con una domanda: che cos’è la poesia? Non è un giochetto letterario. Fare il poeta è un’esperienza interiore molto importante, significa ascoltare se stessi, conoscersi e soprattutto essere mossi d’amore per la società. Non mi sorprende che nei regimi totalitari la parola sia ancora così temuta. La verità dei poeti è la più indicibile, la più temibile e anche la più convincente».
Che tipo di poesia è quella libertaria?
«Sincera. Con la poesia la rabbia viene fuori in modo diverso, ma solo se il pensiero è sincero, cioè non mediato da convenzioni o ideologie. Se insomma è puro. Se rileggo una mia vecchia poesia ha ancora il potere di insegnarmi qualcosa, di dirmi qualcosa. È un potere enorme. E non solo. Noi poeti siamo una sorta di termometro per la società. Marx lo aveva capito bene quando diceva che il politico che vuole fare buona politica deve guardare gli artisti, cioè i poeti. La nostra parola sa tradurre la realtà, capirla e denunciarla».
La poesia può spaventare anche da noi o solo dove c’è una dittatura?
«Da noi il poeta è confinato. La politica delle banche e delle speculazioni imperano. Poi c’è la televisione che ci ha sottratto il potere della lettura. C’è troppa ricchezza. Chi più ha, più vuole: e siamo tutti così concentrati a indovinare i nostri desideri materiali, a esaudirli».
Che spazio ha da noi la poesia?
«Oggi nella nostra società si è così concentrati su sè stessi, e il poeta si è come rannicchiato e invece bisogna stare con la gente. Come ho sempre fatto io, Tonino Guerra, Maurizio Cucchi, Milo de Angelis».


Che rapporto c’è tra poesia e potere?
«Attenzione. Solo se è sincera la poesia è dirompente. Altrimenti è moda, convenzione. Per fare poesia c’è bisogno di avere coscienza, di un «io» che non sia provvisorio, maturo».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica