La Consulta: «Dell’Utri poteva criticare Caselli»

Il magistrato e sei sostituti della procura di Palermo avevano querelato il deputato per diffamazione

da Milano
Una sentenza in controtendenza. Un verdetto che alza una barriera a protezione del parlamentare e delle sue opinioni: nel caso Marcello Dell’Utri. Il deputato azzurro se l’era presa, in un’intervista concessa al Messaggero, con Giancarlo Caselli e sei sostituti della Procura di Palermo che avevano chiesto il suo arresto, poi negato da Montecitorio, nel gennaio ’99. Dell’Utri era stato querelato dai magistrati siciliani per diffamazione. La Camera aveva dichiarato insindacabili le affermazioni del suo membro, il Gip di Roma aveva sollevato un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. E la Consulta ha dato ragione al Parlamento.
Nei mesi scorsi era successo esattamente il contrario: a novembre, per esempio, la Consulta aveva dichiarato non coperte da immunità le frasi pronunciate dal presidente del Senato Marcello Pera nel 1999, quando era senatore di Forza Italia, sempre contro Caselli.
Questa volta però il giudizio è diverso. «La Camera - si legge nella sentenza - non ha ecceduto i limiti delle proprie attribuzioni costituzionali; e, conseguentemente, non ha leso le attribuzioni dell’autorità giudiziaria che procedeva contro il medesimo deputato per il reato di diffamazione». In realtà Dell’Utri, conversando con il Messaggero, era andato giù pesante: «La loro è una reazione infantile - aveva detto dei Pm che avevano chiesto il suo arresto -, cominciano a capire che il castello di carte che mi hanno costruito addosso sta crollando e allora ne fanno uno nuovo, i pentiti sono come i juke box, metti il gettone e loro dicono ciò che vuoi. Ma io non ho gettoni. La Procura sì».
Quelle frasi di Dell’Utri, secondo la Consulta, «erano collegate alla pendenza di un procedimento parlamentare», proiezione del processo per concorso esterno in associazione mafiosa concluso, in tribunale, con una condanna a 9 anni. Insomma, «costituivano non tanto un’iniziativa autonoma del parlamentare, quanto piuttosto affermazioni volte, nell’ambito del citato procedimento, a ottenere dalla Camera il diniego dell’autorizzazione all’esecuzione del provvedimento cautelare». Insomma, quell’intervista, per quanto ruvida, ci stava tutta. Dell’Utri aveva tutto il diritto di difendersi davanti ai colleghi e al Paese per evitare il carcere.
In altre occasioni, la Consulta, sempre nelle funzioni di arbitro fra i diversi poteri dello Stato, aveva invece distinto fra le dichiarazioni extra moenia e l’attività parlamentare vera e propria: interrogazioni, interpellanze e altro. In pratica, fuori dal recinto del Parlamento e dell’attività ad esso connessa, il deputato torna a essere un normale cittadino e come tale perde lo scudo dell’articolo 68 della Costituzione.

Negli ultimi anni, la Consulta è stata letteralmente intasata da ricorsi dei giudici che chiedono di poter mandare avanti le denunce di magistrati o altre persone e dunque premono per poter superare la fragile barriera dell’insindacabilità. Pallido ricordo di quell’istituto che era l’autorizzazione a procedere, eliminata a furor di popolo ai primi venti di Mani pulite.

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