Il crociano Orlando, l’ex garantista antiberlusconiano

Caro Dottor Granzotto, mi rivolgo a lei perché vorrei parlarle di una persona che certamente conosce, il dottor Federico Orlando, oggi condirettore di «Europa». È il giornalista che questa settimana commenta i giornali e risponde alle domande degli ascoltatori nella rubrica di Radiotre «Prima pagina». Dal primo giorno, per chiarire come la pensa, ha ostentato una spiccata antipatia, o meglio la sua pertinace ossessione antiberlusconiana. Ora le chiedo: ma è la stessa persona che fu tra i collaboratori di Montanelli al «Giornale»? Mi sembra che se non fosse intervenuto Silvio da Arcore «Il Giornale» avrebbe fatto la fine che fece poi «La Voce», sempre diretta da Montanelli. Quando il dottor Orlando scriveva sul «Giornale», non era sempre la persona - che oggi lui disprezza - a ripianarne i bilanci, regolarmente in rosso? In quegli anni Berlusconi era sinceramente stimato anche da lui, oltre che da Montanelli, e ritenuto uno dei più brillanti imprenditori italiani, o sbaglio?

Proprio così, caro Moretti: quell’Orlando è l’Orlando che tanta prova diede di sé al Giornale. Berlusconiano, be’ è dir poco. Quando tornava in redazione proveniente da Arcore, sembrava camminasse senza toccare il suolo, tant’era tronfio e compiaciuto dell’udienza concessagli dal Capo. E non rifiutava di certo le quattro paghe per il lesso - un bue intero - ricevute a fine mese dalle mani del Cavaliere medesimo, a quei tempi nostro editore. Ma cosa dico editore, un mecenate era, agli occhi e al cuore dell’Orlando, un uomo illuminato che sapeva giustamente compensare il talento, la verve, diciamo pure l’intelligenza dei suoi dipendenti. Mica un liberticida, mica un dittatore in pectore, mica un Papi qualsiasi, come invece gli appare oggi. Il Federico Orlando a busta paga di Berlusconi fu sempre uomo d’ordine, fedele alla massima del «quieta non movere et mota quietare». Quando irruppe Tangentopoli, per dire, non era il digrignante apologeta della giustizia di rito ambrosiano che divenne in seguito, ma un tenace avversario, un calligrafico detrattore di Mani Pulite, che tanti dispiaceri stava dando a quella parte del Palazzo che era la parte sua, sua di Orlando. Lei ricorda, caro Moretti, il putiferio attorno al «colpo di spugna», a quel decreto Conso che avrebbe dovuto depenalizzare il finanziamento illecito dei partiti e quindi tagliar l’erba sotto i piedi di Antonio Di Pietro? Il solo che si schierò a favore fu lui, Orlando. Si mise pensieroso alla macchina per scrivere e vergò un fondo molto «crociano», com’egli amava definire i suoi pezzi migliori, il cui concetto espresse nel titolo che avrebbe dovuto dominare la prima pagina: «Soluzione, non assoluzione». Se ne percepisce ancora il profumo di sacrestia, il sentore dolciastro, untuoso delle cose ipocrite. Perché Orlando era fatto così, se doveva esporsi, prendere posizione, lo faceva alla don Ferrer, con juicio. Inutile dirle, caro Moretti, che appena Montanelli ebbe sotto gli occhi la bozza di quella prima pagina, l’appallottolò gettandola nel cestino della carta straccia. Fu quando capì che nulla avrebbe fermato il rullo compressore di Mani Pulite, quando intuì che il lavoro sporco - l’eliminazione dalla scena politica dei suoi partiti di riferimento, la Dc e il Pli - sarebbe stato portato a termine, che Orlando sposò la causa giustizialista, giusto in tempo per poter saltare, sempre molto «crocianamente», però, sul carro dei vincitori.

Quando poi lasciò il Giornale - a cavalluccio di Montanelli e non dimenticandosi la liquidazione - si sentì in dovere di tirare calci dell’asino a più non posso dedicandosi a un antiberlusconismo pedante, sussiegoso, «colto». Il più noioso. Esattamente quello che di questi giorni predica dai microfoni di Radiotre (ma niente paura: gli ascoltatori di «Prima pagina» sono di bocca buona).

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