Prosegue in tutto il mondo la corsa all’antidoto contro il Covid. Sono centinaia i vaccini in fase di studi preclinici su animali e 37 quelli che già vengono testati sull'uomo. In nove hanno raggiunto già la terza e ultima fase di sperimentazione, quella che precede l'approvazione da parte delle autorità sanitarie. Ad arrivare a dama sono stati i colossi farmaceutici di mezzo mondo: Pfizer, Merck & Co. Inc., Roche, Johnson & Johnson, Astrazeneca, l’americana Moderna, Sanofi, e la russa Gamaleya.
Il vaccino italiano realizzato in collaborazione con l’Istituto Spallanzani di Roma, invece, è ancora nella prima fase. "A fine ottobre tireremo le prime somme sul vaccino e se tutto andrà bene, dopo aver completato le tre fasi, sarà commercializzabile in primavera", ha annunciato la settimana scorsa il direttore sanitario dello stesso centro per le malattie infettive, Francesco Vaia. "Non bisogna correre – ha avvertito in un’intervista a Radio Cusano Campus - perché il vaccino deve essere sicuro ed efficace, non bisogna cedere alle pressioni economiche e politiche". La sperimentazione sull’uomo è partita lo scorso 24 agosto allo Spallanzani e nel Centro Ricerche Cliniche di Verona dopo gli esiti incoraggianti dei test sugli animali.
I risultati sull’immunogenicità delle prime dosi somministrate ai volontari sono attesi per il mese prossimo. Solo se non verranno registrate controindicazioni si potrà passare alle fasi successive. "La sperimentazione deve dare un prodotto che sia sicuro ed efficace", mette le mani avanti Vaia, che non ammette "scorciatoie". "Stiamo cercando di essere rapidi, ma poniamo grande attenzione alla sicurezza e efficacia, bisogna essere molto prudenti". ReiThera, la società di Castel Romano specializzata nei vaccini per il contrasto alle malattie infettive e incaricata di guidare il progetto per la realizzazione dell’antidoto italiano al Covid, annuncia di essere coinvolta "a pieno ritmo nel raggiungimento di questo importante obiettivo".
"Si tratta di una vera e propria corsa contro il tempo per verificare la sicurezza, l'immunogenicità e l'efficacia del vaccino sull'uomo affinché possa essere messo a disposizione di tutto il Paese nel più breve tempo possibile", ha sottolineato l’azienda in una nota diffusa la scorsa settimana, rivelando di aver già predisposto, parallelamente alla sperimentazione "la produzione su larga scala delle dosi". Il lavoro del team di esperti è sostenuto da otto milioni di euro di fondi pubblici messi a disposizione dalla Regione Lazio e dal governo, attraverso il Miur.
Lo studio si basa su un "vettore adenovirale" derivato dal gorilla, che dopo essere stato reso innocuo per l’uomo viene usato per produrre nell’organismo la proteina spike del Covid. C’è chi però avanza dei dubbi sull’opportunità dell’operazione e, visto lo stato di avanzamento dei test, se il vaccino made in Italy arriverà quando ormai sul mercato ci sarà più di un’alternativa. Intanto per "poter garantire la produzione di milioni di dosi di vaccino in tempi record", ReiThera, come si legge sul sito della società, ha costituito un consorzio con due aziende europee: la belga Univercells e la tedesca Leukocare. Un’alleanza che servirà ad assicurare la produzione su larga scala e favorirne la distribuzione.
Il vaccino, quindi, obietta qualcuno, non sarà "tutto italiano". In più, si nota in un approfondimento pubblicato su Dagospia, la Srl che fa base nel tecnopolo di Castel Romano è interamente controllata da una società svizzera, la Keires AG, che in Italia ha solo il quartier generale. Quello dove si lavora senza sosta per collaudare l’antidoto. È giallo quindi sulle parole dell’ad Antonella Folgori, che a fine agosto assicurava in un'intervista concessa al Sole 24 Ore che la sua azienda è "italiana e quindi soggetta a tassazione italiana".
Di
sicuro il vaccino non sarà di proprietà dello Stato. Anzi, è notizia di oggi che la Commissione Ue sarebbe interessata a rifornirsi anche dalla ReiThera per far fronte al fabbisogno del Vecchio Continente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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