Io nella Tunisia paralizzata da coprifuoco e paura

Alle 20 tutti in casa e negli alberghi: il governo vuole evitare che il malcontento sfugga di mano

Io nella Tunisia paralizzata da coprifuoco e paura

La minaccia arriva fino a Malpensa, all'imbarco del volo: «Guardi - avverte la hostess - che c'è il coprifuoco dalle 20 alle 5 del mattino a Tunisi e in tutto il Paese. Focolai di rivolta si accendono a macchia di leopardo, da Kasserine alla periferia settentrionale della capitale. Saccheggi, anche se per ora poca cosa. Proteste, irruzioni negli uffici di uno Stato sbrindellato e sempre più fragile, cinque anni dopo la cacciata di Ben Ali, il tiranno, la benzina nel motore della Rivoluzione dei gelsomini è finita e la Tunisia va in testacoda. Povertà e disperazione fanno da colante al malcontento popolare e il governo corre ai ripari, imponendo misure drastiche per la difesa dell'ordine pubblico. Meglio prevenire prima che s'incendi la polveriera. Già dopo l'attentato alla Guardia presidenziale, il terzo in una terrificante escalation prima al Bardo e quindi sulla spiaggia di Sousse, la vita notturna era stata sigillata. Ora si spera di tornare alla normalità in tempi rapidissimi, due o tre giorni al massimo ma sono previsioni e la normalità da queste parti è sparita, chiusa nella tenaglia della crisi economica e del terrorismo.«Quel che sta succedendo - spiega l'arcivescovo cattolico di Tunisi Ilario Antoniazzi, veneto di San Polo di Piave - purtroppo era nell'aria ma non esageriamo con il catastrofismo. Voi in Italia rappresentate un quadro più drammatico della realtà». Il problema è che la situazione potrebbe sfuggire di mano. Tutto è cominciato quando un giovane disoccupato laureato, Rhida Yahyaoui, è salito su un palo della luce ed è morto folgorato. Quel sacrificio ha dato la scossa alla frustrazione generale. Manifestazioni, proteste, barricate e lacrimogeni, strade bloccate e puntini rossi che lampeggiano un po' ovunque. A Sfax. A Sidi Bouzid, dove la rivolta iniziò a ottobre 2010 in alcuni quartieri di Tunisi. Ma questa volta tutto è partito da Kasserine, ai piedi delle montagne in cui si addestrano i foreign fighter, pronti a buttarsi nel ginepraio libico e nel carnaio siriano, e questo è un motivo di preoccupazione in più. Cifre ufficiali non ce ne sono, ma le stime, ballerine, oscillano fra i tremila e i novemila con la forbice pericolosamente all'insù. «Questa - si limita a osservare l'ambasciatore Raimondo De Cardona - non è una seconda rivoluzione, ma solo l'esplosione del malcontento». Più della Costituzione all'avanguardia nel mondo arabo e dei diritti garantiti alle donne, contano gli indici, che misurano il tracollo dell'economia: la disoccupazione è al 16 per cento, ma quella giovanile schizza al 34-35 per cento e quella di una possibile classe dirigente, diplomati e laureati, raggiunge uno spaventoso 50 per cento. La Tunisia cresceva, ai tempi di Ben Ali, a un tasso superiore al 5 per cento; nel 2014 la progressione si è fermata a un modesto 2,6 per cento. E nel 2015 ad uno striminzito 0,5. Cosa accadrà nel 2016 nessuno lo sa. Tradotto in soldoni, si stava meglio quando si stava peggio, Una massima già sperimentata, per stare alla stretta attualità, nell'Europa dell'est post sovietica.Il premier Habib Essid, corso a Davos a battere cassa dai Grandi, rientra a precipizio per promettere quello che non potrà mantenere. Il presidente, l'ottantanovenne Essebsi, va invece in tv quando è sera e le città sono impacchettate nella morsa del silenzio. Un'ora prima, alle 19, Tunisi è un fiume di macchine che corrono verso casa. «Qui ad Hammamet - racconta Stefania Craxi - ho trascorso il pomeriggio in un caffè e ogni minuto entravano giovani al grido di "Viva l'Italia".

La democrazia tunisina è l'unica primavera araba funzionante. Il G8 aveva promesso soldi e aiuti, peccato che non si sia fatto più nulla. Se la Tunisia va a fondo sono guai per tutti: per l'Occidente ma soprattutto per l'Italia».

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