Quel ritardo di trenta giorni e le colpe di un governo rimasto senza Speranza

È lui a mettere per primo la testa nella bocca del drago che arriva dalla Cina. Il 22 gennaio il ministero guidato da Roberto Speranza dirama la circolare che mette nel mirino le polmoniti anomale che si stanno manifestando

Quel ritardo di trenta giorni e le colpe di un governo rimasto senza Speranza

È lui a mettere per primo la testa nella bocca del drago che arriva dalla Cina. Il 22 gennaio il ministero guidato da Roberto Speranza dirama la circolare che mette nel mirino le polmoniti anomale che si stanno manifestando. In quei giorni di fine gennaio il virus sta già circolando in Italia e il capo del dicastero si carica sulle spalle un'enorme responsabilità. L'epidemia incombe, il governo però comincia a cincischiare. Il 31 gennaio un decreto precipita il Paese nell'emergenza, ma i contenuti restano nel vago. Che non fili proprio tutto per il verso giusto lo rivela l'episodio, grottesco e drammatico col senno di poi, dell'aereo che il 15 febbraio parte per la Cina con due tonnellate di materiale e mascherine. L'Italia è in guerra, ma secondo la sua migliore tradizione non ha la più pallida idea di come combattere e regala le poche munizioni a disposizione ai cinesi. Una scelta sciagurata.

Speranza prova a giocare la sua parte in quelle settimane di attesa, in cui purtroppo si prepara la tragedia e si perdono giorni preziosi. Ma è un'impresa difficile, forse superiore alle sue forze e al suo peso specifico.

Il ministro, nato a Potenza nel '79, dove è stato assessore all'urbanistica, non ha una personalità dirompente. E appartiene a un partitino, Leu, che è l'anello debole della coalizione e ha portato in parlamento solo 18 fra deputati e senatori, ulteriormente ridotti dalle defezioni e dagli addii di Laura Boldrini, non più icona ma solo vestale, Michela Rostan, Giuseppina Occhionero.

Speranza ci mette impegno e diligenza ma non ha coperture e sponde: quando il 20 febbraio scoppia davvero l'epidemia, con il tampone positivo al paziente 1, lui corre a Milano e torna in Lombardia la settimana successiva. Due visite in pochi giorni, a differenza del premier che sotto la Madonnina che piange le sue troppe vittime non si fa più vedere. Speranza è in sintonia con il presidente della Lombardia Attilio Fontana e con l'assessore Giulio Gallera. Per certi aspetti, dovrebbe essere il Gallera nazionale, il punto di riferimento nella crociata al Coronavirus, ma in troppi soffiano per portargli via la postazione ad alta visibilità. C'è il premier Giuseppe Conte, c'è il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, ci sono gli esperti del Comitato tecnico-scientifico, poi si materializza il commissario Domenico Arcuri: un parterre affollato. Sempre di più. Solo la task force guidata da Vittorio Colao, l'ultima nata in una continua proliferazione di organismi, è un corteo di 17 persone, numero un po' sinistro, e se mai si dovesse riunire non da remoto farebbe venire i capelli dritti a vigili e guardie che hanno trasformato l'Italia in una grande caserma.

Speranza nei primi giorni del disastro è il punto di riferimento generale. Le videoconferenze portano in giro per l'Italia la sua faccia fra il dolente e il malinconico da bravo ragazzo del Sud, discepolo di Bersani con una prestigiosa laurea in scienze politiche alla Luiss, una compagna, due figli e un kit con tanto impegno e zero fuochi d'artificio. Dialogano con lui i governatori, gli assessori, i direttori delle 21 sanità del Paese. Si parla con Speranza, con Borrelli, con il numero uno dell'Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro. Arriva da Speranza il documento che finalmente spinge il Paese fuori dall'inspiegabile letargo che dura da quasi quaranta giorni: la richiesta di potenziare di corsa le terapie intensive.

Poi il ministro resta imbottigliato fra Conte, che coltiva il rapporto personale con l'opinione pubblica, e il collega Francesco Boccia che viene pure dal Sud ma ha dietro di sé il Pd, non i quattro gatti di Leu - fra cui il sempre più missing Pietro Grasso - e tiene un'altra linea, più smaliziata: dialoga con Milano e Torino, ma al tempo stesso bacchetta e polemizza. Tutto il contrario di Speranza che ha sposato in toto la filosofia dura, senza sconti e aperitivi, del tandem Fontana-Gallera, incarna un profilo basso, forse pure troppo, non alimenta una bava di polemica. Per certi aspetti, Speranza è l'ambasciatore di Fontana in terra straniera: vorrebbe la zona rossa alle porte di Bergamo, come e più dei vertici di Palazzo Lombardia, ma resta ammaccato nell'operazione condotta da Palazzo Chigi che alla fine, dopo un valzer costato altri giorni e molti morti, scolora il rosso nell'arancione dell'intera Lombardia. I virologi, nuova avanguardia della tecnocrazia, conquistano la tv, lui esce progressivamente dai radar dei media.

Intanto il Paese sprofonda in un un'interminabile quarantena e l'economia affonda. Il governo fa quello che può ma fa anche molta confusione e incrocia le spade nell'eterno duello con il Pirellone che ricorda un celeberrimo racconto di Conrad. Dal 22 gennaio sono passati 90 giorni e troppi protagonisti sono saliti sul palcoscenico di un paese immobile e disorientato che discute delle fasi 2 e 3. L'unico che su quel palco aveva titolo di stare è sceso o l'hanno fatto accomodare ai bordi.

Anche ieri, conversando con Radio Capital, tiene il punto: «Ora è il momento di lavorare insieme, senza polemica, gomito a gomito». Peccato che siano stati gli altri a sgomitare spingendolo nelle retrovie. Come una comparsa davanti alla più grande emergenza sanitaria del Dopoguerra.

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