Uccise "un italiano a caso". Ora vogliono ridurre la pena al marocchino

Il marocchino Said Machaouat uccise un 34enne italiano perché "era troppo felice". Condannato in primo grado a 30 anni di reclusione, ora potrebbe ricevere lo sconto di pena

Uccise "un italiano a caso". Ora vogliono ridurre la pena al marocchino

Voleva uccidere "un italiano" a caso e lo ha fatto. Ciononostante Said Machaouat, il marocchino che nel febbraio del 2019 accoltellò Stefano Leo, un 34enne torinese, potrebbe ritornare (quasi) a piede libero. Condannato in primo grado a 30 anni di carcere - i giudici ritennero che fosse "in grado di intendere e volere" - ora il presunto omicida può sperare nello sconto di pena in Appello. Il suo legale, Basilio Foti, è pronto a dare battaglia: punterà al riconoscimento del "vizio parziale di mente". "Sono sicuro che in appello verrà ridotta la pena - afferma l'avvocato al quotidiano Libero - Hanno mortificato un atto ragionevolmente favorevole all'imputato, ovvero il fatto che si sia costituito e abbia confessato".

L'omicidio

I fatti risalgono al 23 febbraio del 2019. Quella fredda mattina d'inverno, Stefano Leo, commesso 34enne di Torino, stava rincasando dal jogging in riva al Po quando si imbattè in Said Machaouat, un marocchino senza fissa dimora. Lo straniero, armato di coltello, era seduto su una panchina lungo la passeggiata dei Murazzi in attesa che "un italiano" sfilasse davanti ai suoi occhi: voleva "uccidere a caso". Sfortuna ha voluto che, quel maledetto giorno, fosse proprio il povero Stefano ad incontrarlo. Machaout estrasse la lama dai pantaloni puntandola contro il malcapitato: un taglio netto alla gola che fu fatale al 34enne.

"Era troppo felice e l'ho ucciso"

"Si presentava con aria felice. E io non sopportavo il suo sorriso. E poi, era un italiano", furono queste le dichiarazioni "a caldo" del marocchino, reo confesso dell'omicidio. La perizia psichiatrica rilevò "un disturbo narcisistico, antisociale e paranoide della personalità". Tuttavia, i giudici del tribunale di Torino ritennero che Machaouat fosse "in grado di intendere e volere" infliggendogli una pena a 30 anni di reclusione per omicidio premeditato escludendo dal giudizio le attenuanti per la confessione. Ma ora quella sentenza potrebbe essere ribaltata in Appello.

Lo sconto di pena in appello

Il legale del marocchino, Basilio Foti, ha deciso di chiedere un abbuono. Secondo la difesa il disturbo del presunto killer "sarebbe tale da determinare un vizio parziale di mente con alterazione significativa della capacità di intendere e di volere. La perizia psichiatrica, indipendentemente dalle sue conclusioni, è l'occasione per comprendere quali siano stati i meccanismi mentali che hanno generato il progetto omicida". Al tempo, Machaouat era finito in strada dopo la separazione dalla compagna, da cui aveva avuto un figlio, e una denuncia per maltrattamenti. "L'esistenza di una persona e il suo stile di vita, - spiega Foti -quando mutano in tempi rapidi, rispecchiano sempre il cambiamento dello stato mentale e possono segnalare l'instaurarsi di una patologia mentale". Se fossero riconosciute le possibili attenuanti del caso, la pena sarebbe pressoché dimezzata: da 30 a 14 di reclusione ventilando (anche) l'ipotesi della semilibertà.

La rabbia dei genitori

"Ho fiducia nella magistratura", dichiara nel corso di una intervista al giornale Libero Maurizio Leo, il papà di Stefano. "Ma è chiaro che nel caso di Machapuat sono stati compiuti tanti, troppi errori. - continua -Penso, ad esempio, a quelli di notifica commessi dalla Corte d'Appello, che non hanno permesso di arrestare Said per una condanna definitiva precedente il delitto.

Se fosse stato in carcere, non avrebbe ammazzato mio figlio. Credo sia logico e umano che un padre provi rabbia per questo e apprensione per il nuovo processo". La partita è in mano ai giudici della Corte d'Appello: il processo avrà inizio il prossimo 13 ottobre.

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