N el film, si ha l'impressione di vedere il processo stesso della scrittura mentre si compie, il fenomeno della creazione letteraria.
«Penso che, per la creazione letteraria, basti cominciare con una salda convinzione, e poi continuare. Credo che lo scritto porti ad altro scritto, e insieme all'infinito. Lì. Ho fermato il film, ma avrei potuto anche continuare. Avevo molta paura di un film lungo, di un film di un'ora e tre quarti, di due ore, per il pubblico... Mi sono detta: non possono sopportare una parola così nuda... non ho osato creare due ore di parole... penso che basti mettersi nella situazione di scrivere e poi tutto comincia, basta volerlo, penso... Non trovo altre definizioni...»
Allora come mai? Ci sono persone che vorrebbero così tanto scrivere e che non ci riescono mai... Ovviamente parlo di vera scrittura...
«Sono quelli che non lo vogliono davvero, o piuttosto che non coltivano un vero desiderio. O meglio, sono quelli che vivono confinati nel loro mondo. Che aspettano la scrittura come qualcosa che arrivi da fuori, mentre invece è una sorta di ingiunzione interna. Ma non voglio dire dal corpo, perché è una cosa finita, ecco..., basta, non voglio più parlarne...(ride) Vedete, le donne parlano dei loro corpi così, sempre, io non voglio più sentirne parlare, affatto. Dicevo, interna, ecco, un'ingiunzione interna, sì. È voler scrivere prima di sapere cosa, prima di voler scrivere questa o quella storia. Scriviamo sempre, siamo come abitati, sempre, da un'ombra, in cui ogni cosa va, in cui l'integrità di ciò che viviamo si ammassa, si accalca. Ecco, questo rappresenta la materia prima della scrittura, la miniera di tutto. Questo oblio è la scrittura non scritta: la scrittura stessa. Nel film, il camion trasporta questa massa. Tutta la scrittura del mondo. Come se questo potesse misurarsi, pesarsi: trentadue tonnellate di scrittura, mi piace. Ma quella scrittura universale, ne Il camion, è mischiata, è quella dello spettatore, è la mia, è fusa tutta insieme: una massa nera e chiusa che avanza e percorre il mondo, dimenticata. Ma in vita. Non morta. Pronta a prestarsi a tutto. Ai più grandi errori politici della storia dei popoli. A una poesia di Mallarmé. A una sofferenza senza cause apparenti che attraversa una donna, una sera, da qualche parte, e di cui non si parlerà. Dimentichiamo il novanta per cento delle cose della vita, diventeremmo folli, ne moriremmo se ricordassimo tutto il tempo vissuto, ne moriremmo, sarebbe insostenibile. Sarebbe un po' come se la morte non esistesse: c'è tanto di vissuto nella storia del mondo quanto in un solo uomo. Io la penso così.
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