Ripercorrendo il destino di Carolrama, per la quale i primi importanti riconoscimenti sono giunti soltanto dopo gli ottant'anni, e post mortem l'affermazione sul mercato, internazionale, oggi la lente del collezionismo è puntata su Maria Lai, l'artista sarda morta ultranovantenne nel 2013 dopo una carriera lunga e silenziosa, isolata tra i monti della sua Barbagia, protetta dalle mura della casa di Ulassai dove cuciva, ricamava, disegnava, inventava le storie delle sue Domus de Janas.
C'è da riflettere sulle ragioni di questo successo, da relazionare a ciò che è accaduto anche all'estero per altre figure femminili a lungo considerate outsider, se non addirittura fuori dal mercato: la pittrice austriaca Maria Lassnig, Leone d'Oro alla Biennale di Venezia 2013 un anno prima della scomparsa, viene oggi letta non più come una espressionista a oltranza, ma come anticipatrice di tematiche della Body Art, e Phyllida Barlow, 74enne scultrice che ha rappresentato la Gran Bretagna alla scorsa Biennale, è esplosa negli ultimi anni, entrando nella prestigiosa scuderia di Hauser & Wirth.
Figure femminili così complesse - in fondo anche Louise Bourgeois arrivò tardi al pieno consenso - hanno più di una ragione per intrigare finalmente la critica e il mercato. Nel caso di Maria Lai non c'è però l'appiglio di una biografia sofferta, fra traumi, violenze, rabbia per l'esclusione fomentata dalla fallocrazia maschilista. Piccolissima di statura, voce appena sussurrata, rigorosa e antispettacolare, Maria Lai non ha rincorso più di tanto il successo, bastandole forse l'ammirazione dei suoi sostenitori: la gallerista romana Stefania Miscetti la esponeva vent'anni fa, tra l'indifferenza generale, Antonio Presti la invitò per un'installazione a Castel di Tusa in Sicilia e là la conobbi nel 1994, affascinato dalla sua straordinaria calma e rilassatezza. All'epoca i suoi lavori costavano pochissimo e chi ha avuto la lungimiranza e la cultura di comprali allora oggi può vederne decuplicato il prezzo. Sono opere realizzate secondo l'antica tradizione barbaricina con i telai, con ago e filo, lievi, difficili da definire, eppure molto sapienti, pagine di libro in forma di immagine e sostanza materica. Una poetica fortemente intuitiva, che non cercava rapporti con l'Arte Povera e il concettuale, felice di un distacco dalle cose troppo materiali, perché un artista ispirato può vivere anche con poco la propria quotidianità, eppure mai esclusa dal dibattito teorico che ha condiviso con grandi sardi quali lo scultore Costantino Nivola e lo scrittore Giuseppe Dessì.
Chissà come avrebbe interpretato, la deliziosa Maria Lai, ciò che è accaduto dopo la sua morte. I curatori, sempre alla ricerca di uno scoop da proporre ai collezionisti, cominciano a considerarla per le grandi rassegne internazionali come un'anticipatrice dell'attuale moda del ricamo: gli inviti alla Biennale di Venezia (2013) e a Documenta (2017) preludono al lancio sul mercato americano. La galleria newyorkese Marianne Boesky la propone con successo alle fiere di Basilea e Miami. Da alcuni mesi in Italia la rappresenta M77 di Milano (attualmente è in corso la mostra con una trentina di opere realizzate tra la fine degli anni '50 e gli anni '90). Proprio ieri in tarda serata è passata per la prima volta all'Italian Sale di Londra a Christie's con il Lenzuolo del 1989, battuto a 184mila euro.
Certo, la valorizzazione di un artista oggi non si basa soltanto su merito e originalità. È necessario costruire un'operazione studiata nei minimi particolari, coinvolgendo tutti i soggetti necessari, le famiglie, i collezionisti, le gallerie, i musei, le case d'asta. Elementi che per Maria Lai sembrano funzionare alla perfezione: l'archivio storico Maria Lai, presieduto dalla nipote ed erede unica Maria Sofia Pisu ha attuato l'indispensabile lavoro di «pulitura» del mercato. Il collezionista Giorgio Spanu con la moglie Nancy Olnick, proprietario del Magazzino Italian Art da poco aperto nella Hudson Valley, a un'ora da New York, è molto interessato a sostenere la crescita di Lai, come tutti i sardi che hanno avuto fortuna.
Nella prossima primavera, per festeggiare il centenario di una artista che rappresenta l'ultimo «caso» italiano, è in programma una retrospettiva al Maxxi di Roma; poi, nel 2020, potrebbe replicare al Palazzo Reale di Milano e c'è chi vocifera di grandi manovre negli Stati Uniti. Staremo a vedere, ma certo l'opera non si può giudicare soltanto dal consenso del mercato e per Maria Lai c'è innanzitutto un lavoro raffinato, colto e sensibile.
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