Cultura e Spettacoli

Le foto nell'acciaieria Azovstal: Gabriele Micalizzi vince il Premiolino

Il fotografo, classe 1984, è impegnato da oltre dieci anni sui fronti di guerra. nel suo ultimo lavoro ha raccontato la guerra in Ucraina, in particolare la caduta di Mariupol

Le foto nell'acciaieria Azovstal: Gabriele Micalizzi vince il Premiolino

È nella splendida cornice della Triennale di Milano che incontriamo il fotoreporter Gabriele Micalizzi, vincitore, tra gli altri, del Premiolino 2022. La 62° edizione di uno dei più antichi e prestigiosi premi dedicati al mondo dell’informazione ha messo quest’anno al centro dell’attenzione la guerra in Ucraina. La motivazione della giuria, composta da illustri del giornalismo italiano, non lascia dubbi: “Con le sue immagini nel teatro e nei sotterranei dell’acciaieria Azovstal, Gabriele Micalizzi non solo ha confermato il suo coraggio e bravura di testimone sui fronti di guerre, ma resterà nella storia come il cantore dell’agonia e morte di una città, Mariupol”. Micalizzi, classe 1984, è impegnato da oltre dieci anni sui fronti di guerra più caldi. Nel 2014 il suo amico e collega Andrea Rocchelli, con cui aveva fondato il collettivo Cesura, perde la vita del Donbass, in Ucraina. Sopravvissuto ad un razzo dell’ISIS in Siria nel 2019, Micalizzi non ha mai smesso di raccontare i conflitti attraverso le sue immagini.

Hai seguito la guerra dal lato russo, dal lato del “nemico” dell’Occidente.
"Come in ogni guerra la questione di chi sia il nemico è solo un punto di vista. Mi trovavo già a Donetsk prima dell’inizio del conflitto, mi sono trovato in mezzo a questa guerra. L’idea di raccontare il lato oscuro, il “dark side”, mi ha sempre affascinato, come l’ISIS Siria ma non ero mai riuscito a coprirlo. Questa volta ci sono riuscito ed ero uno dei pochi al mondo, è stato molto interessante, una nuova prospettiva che mi ha permesso di umanizzare il “nemico”".

Molti in Italia erano scettici rispetto alla veridicità delle informazioni che inviavate dai territori occupati, convinti che ci fossero delle influenze russe. È stato complicato lavorare dall’altra parte del fronte?
"Effettivamente io, come il collega Luca Steinmann - anche lui vincitore del Premiolino ndr - ci siamo ritrovati schiacciati tra incudine e martello, dalla parte russa ci vedevano come spie pronte a rivelare informazioni e nel mondo occidentale eravamo visti come pro-russi solo perché ci trovavamo da quel lato. Una condizione brutta, nessuno ci ha aiutato. La svolta si è avuta con il tempo, con il susseguirsi dei lavori i russi hanno iniziato a fidarsi di noi e poi con l’occupazione di Mariupol si è aperto un dibattito anche dall’alto occidentale, si è acceso un riflettore, si è ribaltata la situazione".

A ricevere il Premiolino sul palco al posto tuo hai voluto invitare i genitori di Andrea Rocchelli, dedichi a lui questo riconoscimento?
"Prima ancora di questo viaggio sentivo di dover finire il suo lavoro del Donbass. Questo premio era un’occasione importante per chiudere un cerchio e mantenere accesi i riflettori sulla storia di Andy. Sono passati otto anni dalla sua scomparsa, anni difficili, svariati processi e una storia che ancora non ha trovato giustizia.

Ho voluto invitare i genitori di Rocchelli, era una dedica a lui, questo premio è un po’ anche loro".



L’ultima immagine che ricordi di Mariupol e quella che invece non dimenticherai mai.
"Il mio ultimo giorno a Mariupol era il giorno della parata. Era cambiato lo scenario davanti al teatro, da che piovevano i colpi di mortaio e c’erano macerie ovunque, il 9 maggio c’era il sole, avevano ripulito la piazza, era cambiato tutto. A pochi chilometri di distanza, dentro l’Azovstal, si stava ancora combattendo ma vedevo come nonostante tutto le cose andavano avanti, nei luoghi e nei simboli. L’immagine che sicuramente non riesco a togliermi dalla mente è la signora assetata nei sotterranei. Chissà come è andata a finire quella storia, me lo chiedo spesso".

Libertà di stampa dal punto di vista di un freelance, a che punto siamo in Italia?
"Il problema in Italia è che non si vuole mai pestare i piedi a nessuno o se lo si fa è solo per fare scandalo. Nel giornalismo anglosassone l’obiettivo è sempre la verità dei fatti, da noi manca un po’ la predisposizione ad essere liberi, non tanto dei giornalisti ma dei giornali. La situazione sta un po' cambiando ma c’è ancora tanta strada da fare".

Anche dopo esserti beccato un razzo RPG e aver rischiato la vita continui con motivazione il tuo lavoro?
"Nonostante sia stato ferito mentre facevo il mio lavoro ho ancora voglia di raccontare le guerre. Ci sono giornalisti che sono davvero spinti dal fare, da una motivazione superiore, e non dall’apparire. Io ho scelto di non apparire mai davanti alla camera e porto avanti questa mia scelta con orgoglio".

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