Cultura e Spettacoli

Nelle borse del Duce c'erano lettere di Hitler e dossier sui traditori

Nuove testimonianze sulle carte che il dittatore teneva con sé negli ultimi giorni. Le valigette erano due. Con segreti esplosivi

Mussolini con il suo medico, il dottor Georg Zachariae nell'aprile 1945
Mussolini con il suo medico, il dottor Georg Zachariae nell'aprile 1945

Il pomeriggio del 27 aprile 1945, poco dopo il suo arresto a Dongo, al partigiano Urbano Lazzaro «Bill» che accennava a sbirciare dentro la borsa piena di carte che Benito Mussolini aveva portato con sé, il dittatore disse con tono grave: «Guarda che questi documenti sono molto importanti per il futuro dell'Italia».
Quante erano le borse di carteggi, dalle quali il Duce non volle mai separarsi, fino alle ore dell'epilogo? E che cosa contenevano?
In questa nostra inchiesta produrremo documenti e testimonianze inediti e di eccezionale rilevanza storica sugli enigmi riguardanti le «carte parlanti» mussoliniane che avrebbero dovuto formare l'arsenale della sua autodifesa di fronte alla Storia.

Secondo le fonti più accreditate, il dittatore recava con sé due borse: una, di colore giallo-marrone, che teneva personalmente, e una seconda, affidata al suo aiutante di campo, Vito Casalinuovo.
Le ricostruzioni più note parlano anche di altre due borse colme di incartamenti, rimaste nella disponibilità di Marcello Petacci, fratello di Claretta, e anch'esse intercettate dai partigiani. Di queste ultime, non si è saputo più nulla.
Una prima considerazione da farsi, è che, al contrario dell'oro di Dongo, che divenne immediatamente oggetto delle bramosie dei partigiani comunisti, i documenti duceschi, in prima battuta, vennero snobbati dai «rossi». Furono invece i partigiani di orientamento moderato a dedicare fin da subito le loro attenzioni ai carteggi. Tra questi vi erano il comandante della 52ª Brigata Garibaldi, il nobile fiorentino Pier Bellini delle Stelle, il suo braccio destro, «Bill», e i loro sodali: Aldo Castelli «Pinon», Stefano Tunesi, il finanziere Antonio Scappin «Carlo», il simpatizzante partigiano Gianfranco Venini, il colonnello Galdino Pini, Aimone Canape, il cittadino svizzero Alois Hoffman, e pochi altri.
Le testimonianze più articolate sono quelle riguardanti il contenuto della famosa borsa giallo-marrone del Duce. Essa custodiva una selezione altamente rappresentativa dei dossier esteri. In un suo memoriale, rimasto ancora quasi del tutto inedito e sconosciuto ai più, Castelli, che ebbe modo di scorrere quantomeno le intestazioni dei fascicoli, testimonia che la cartella raggruppava materiali sul Principe di Piemonte, carte sul processo di Verona, la corrispondenza Mussolini-Churchill, documenti sull'ingresso dell'Italia nel secondo conflitto mondiale e sull'intervento nella guerra civile spagnola.

Il comandante «Pedro», che volle escludere la presenza dell'epistolario del Duce con il premier britannico, riferì invece dell'esistenza del carteggio Mussolini-Hitler. Aggiunse anche che, tra i materiali sequestrati al capo del fascismo, fossero compresi dossier sulle trattative per il passaggio di poteri dalla Rsi al Partito socialista. Altri ancora hanno invece citato la presenza, negli scomparti della borsa, di poesie a Claretta, vergate su foglietti da taccuino, di documenti riguardanti Pietro Nenni, di incartamenti sulla situazione di Trieste e sull'eventuale passaggio di Mussolini e del suo governo in Svizzera, oltre ad altri dossier ancora, sulle attività partigiane nelle varie zone. Quasi tutti questi fascicoli vennero fatti sparire.
Di enorme interesse, a tale proposito, risulta essere il memoriale redatto da Angelo Zanessi, un agente segreto alleato, ma in divisa germanica, che con abile mimetismo riuscì a infiltrarsi nella colonna italo-tedesca, giungendo fino a Dongo. La sua testimonianza non è raccolta né citata in alcuno dei molti studi esistenti sulle ultime ore del dittatore.
Zanessi, alias capitano Zehnder, o Ennio Belli, o ancora W. Z., è una delle più affascinanti primule rosse delle vicende terminali del fascismo: un personaggio che agì con grande scaltrezza nei punti «di cerniera» sensibili, tra i fascisti più autonomi, come i nazionalisti della X Mas, gli Alleati e la Resistenza. Ufficiale del Sicherheitsdienst di Verona, fu mandato a rafforzare il servizio di protezione germanico del Duce, sul lago di Garda. In realtà, a quel tempo era già attivo come «punta» del controspionaggio americano. Messo alle costole di Mussolini, a Como, alle prime ore del 26 aprile, riuscì a impadronirsi del contenuto di una borsa del Duce che Claretta Petacci teneva con sé: lettere di Churchill e una relazione di Chamberlain.
Ciò che Zanessi-Zehnder fece, una volta giunto sul Lario, è ancora in buona parte avvolto da mistero. La superspia alleata racconta numerosi dettagli, rimasti finora in ombra, relativi al contenuto della borsa giallo-marrone, che raccoglieva un piccolo, ma ultraselezionato archivio sugli affari internazionali, nel quale spiccavano, tra gli altri: lettere di Churchill e di Chamberlain; il dossier Savoia, comprendente epistole del sovrano Vittorio Emanuele III, e anche una lettera del principe Umberto al Duce, di poco anteriore al 10 giugno 1940, nella quale domandava «l'onore di aprire le ostilità sul fronte occidentale prima che la travolgente avanzata in Francia divenga una vittoria prettamente tedesca»; due missive dell'ex re Boris di Bulgaria; la corrispondenza con Hitler; dossier sui «traditori», sul «caso Canaris» e sulla vicenda dei diari di Ciano. Di straordinaria rilevanza, i materiali concernenti le responsabilità nello scoppio della seconda guerra mondiale, con le prove degli sforzi tenaci condotti fino all'ultima ora da Mussolini per evitare lo scatenamento del conflitto.

La borsa cui si riferisce Zanessi è la stessa di cui parlano le fonti partigiane: buona parte del contenuto di essa venne trafugato dalla missione alleata, probabilmente già a breve distanza dalla morte del Duce, lasciando agli italiani soltanto una porzione modesta di fascicoli. Pochi dei quali sono giunti fino a noi: dedicheremo un successivo articolo, ad esempio, alla sottrazione dei materiali sui Savoia.
Non meno esplosive le rivelazioni della spia circa una seconda borsa del Duce, di colore nero: forse - dico forse, perché in questo campo minato non si può esser sicuri di niente - è la cartella affidata da Mussolini a Casalinuovo. Fatta pervenire dai partigiani di Dongo al comando del Cln di Como, divenne oggetto di un singolare scambio tra servizi statunitensi e forze di Liberazione. L'ambita preda poté essere recuperata dopo la cessione, al Comitato di Liberazione, dei dossier Ovra e del fascicolo Nenni che gli 007 americani riuscirono a scovare a Villa Mantero di Como ove aveva soggiornato la moglie del Duce, Rachele, con i figli minori Romano e Annamaria.

Zanessi-Zehnder, infine, fornisce una notizia-bomba: nomina, tra gli agenti che collaborarono con gli Alleati, anche due personaggi come il capitano «Neri» (Luigi Canali) e la sua compagna-staffetta «Gianna» (Giuseppina Tuissi). Entrambi comunisti, erano però entrati in conflitto con il loro partito per vecchie questioni e, a quanto pare, vennero così reclutati dai servizi segreti statunitensi per il recupero della documentazione di Mussolini.


(1. continua)

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