S e il mondo è un posto dove trionfa una morale rovesciata, allora è un posto ingiusto. È il regno dell’impostura. Del successo conquistato dai fancazzisti e della mortificazione inflitta ai deboli. Uno scenario nero, privo di riscatto, che al massimo concede qualche amara consolazione. In questa gigantesca competizione che è l’esistenza, i benintenzionati affogano e i menefreghisti vincono. Va così, dice malinconicamente Alessandro Piperno nel suo Inseparabili (Mondadori, pagine 350, euro 20), secondo volume del dittico Il fuoco amico dei ricordi imperniato sulla saga della famiglia ebrea dei Pontecorvo. Ma non c’è da scandalizzarsi o da abbandonarsi al vittimismo. Semmai ci si può ribellare, denunciando la fragilità effimera di un costume e una cultura edificati sulla vanità. E, così facendo, sottilmente e indirettamente vendicarsi persino di una critica letteraria snob, birignante, incline al sopracciò. Difficile spiegarsi altrimenti le posizioni di rincalzo conquistate dagli ultimi due romanzi dopo che l’esordiente Con le peggiori intenzioni venne salutato come l’avvento di un grande scrittore. Piperno paga il fatto di non essere abbastanza radical chic, di starsene appartato, di non dedicarsi alle frequentazioni giuste. Finendo per dividere i lettori in sette di estimatori e detrattori, entrambi militanti.
«La storia di quei due amici sembrava dimostrare che il mondo non è un posto che ricompensa le persone meritevoli e punisce i debosciati, ma semmai un beffardo ecosistema dove le cose funzionano nel modo inverso». È Rachel Pontecorvo a riflettere sulle sorti del suo primogenito Filippo e dell’amico David. Suo marito Leo, stimato oncologo pediatrico, si è lasciato morire nella taverna della villa all’Olgiata (in Persecuzione, il primo volume), incapace di fronteggiare l’accusa di attenzioni pedofile verso la fidanzatina del secondogenito Samuel, Semi per gli amici. Tumulata la rimozione della grande tragedia di famiglia sotto strati di moralismo perbenista, tocca a lei tirar su quei due ragazzi, sinistramente inseparabili come pappagalli africani. Filippo è indolente, amante dei fumetti e delle donne, fannullone e dominante. Samuel è brillante negli studi, eclettico, problematico e contento della protezione del fratellone. Ma i destini dei due bamboccioni d’improvviso si capovolgono. Un cartoon sullo sfruttamento dei bambini del Terzo mondo disegnato a tempo perso da Filippo conquista la critica di Cannes, diventa opera di culto e gli regala l’inatteso successo, accentuando la frustrazione della moglie, attricetta incompiuta con tentazioni suicide. Quando i fondamentalisti islamici trovano in Erode e i suoi pargoli buoni motivi per promettergli una fatwa, l’alone del guru non glielo toglie più nessuno. Samuel, invece, il successo lo vuole a tutti i costi e lo insegue fino a Wall Street, prima che l’esplosione della crisi lo costringa a rientrare in Italia, cambiare lavoro, imbastire un mezzo matrimonio. E, soprattutto, tornare nuovamente a macerarsi nell’ombra di Filippo.
Se in Inseparabili, non c’è la forza tragica di Persecuzione, tuttavia il dramma spira dall’inizio sottotraccia nella famiglia luogo del dolore e delle insicurezze, nella sessualità infelice di Samuel, nel luogocomunismo meschino di Filippo, nella doppiezza di fidanzate e mogli. Per esplodere nel lungo epilogo riscattando qualche lentezza, quando si scopre finalmente chi è il narratore che Piperno fa spuntare qua e là conferendo un tratto psycho al gioco della memoria e dei ricordi. Che, appunto, sono un fuoco amico dal quale è difficile emanciparsi. Com’è altrettanto difficile guarire dalle proprie nevrosi, inoculate da una cultura vacua e dalle tragedie patite da ragazzi. Soprattutto, provocate dal potere ottuso dei media, arbitro incondizionato dei destini, un moloch senz’anima che può precipitare nella gogna o issare a idolo individui dotati di meriti opposti. La stessa nonchalance che ha condannato senz’appello il padre innocente ma troppo debole per contrastare l’onda montante dell’infamia, decreta la fama internazionale del fratello meno dotato e più vanesio. Fuori dalla trama, nel successo di Filippo, osannato dalla critica ma costretto a una vita segregata, si può leggere anche la parabola di Roberto Saviano, amico dello stesso Piperno, nonché autore e protagonista di una fiction opposta alla sua. Quanto Saviano è scarno, giornalistico, proiettato alla denuncia e primario, altrettanto Piperno è psicologico, introspettivo, estetizzante e schivo.
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