Cultura e Spettacoli

Quando Mazzini scatenò il patatrac sognando la Repubblica

Il 24 marzo 1870 non è una delle date entrate nella storia italiana. Avrebbe potuto. Proprio mentre Roma sta per diventare italiana, dopo che la monarchia sabauda è diventata un collante “stabile” per il Paese, con buona pace di intellettuali come Carlo Cattaneo, morto l'anno prima, qualcuno tenta di mettere in atto quello che allora venne chiamato il «patatrac» e che oggi chiameremmo una rivoluzione. Fallì subito, con gran scorno dei seguaci di Mazzini che lo progettarono. Tanto che nei manuali di storia non è finita nemmeno di straforo. Eppure quando i militari della brigata Modena si ribellarono nelle piazzeforti di Piacenza e di Pavia, ebbero per un attimo l'illusione di immaginare un'Italia diversa, repubblicana e socialmente più giusta.
Di questo sogno, finito nel sangue, ha riscoperto le tracce Mino Milani in un piccolo e gustoso saggio chiamato proprio Patatrac (Barion, pagg. 160 euro 12). Milani noto a molti come sceneggiatore di fumetti, ha alle spalle un discreto numero di opere storiche, tra cui le biografie di Garibaldi e Nino Bixio. Ma in questo caso ha riportato alla luce un episodio perduto. Ecco i fatti. Mazzini dal 1866 aveva fondato l'Alleanza Repubblicana Universale. L'associazione, rivoluzionaria e sgraditissima ai Savoia aveva fatto proseliti nell'esercito. Soprattutto tra sergenti e graduati, quel ceto intermedio di militari che mal sopportava gli ufficiali. Si dice che fossero riusciti a infiltrarsi anche tra i carabinieri. Di certo i cospiranti erano numerosi nella brigata Modena. Così numerosi da sentirsi forti, ma anche così visibili da avere una gran paura d'essere scoperti. Decisero dunque di passare all'azione. Credendo anche di avere l'approvazione di Mazzini, il quale però aveva tutt'altro che le idee chiare sulla situazione italiana. Risultato? In quel fatidico 24 marzo i rivoltosi nelle caserme di Piacenza si armano e si organizzano per far esplodere un deposito di munizioni in attesa che i civili li aiutassero a occupare punti strategici delle città. Ma andò tutto male, complice anche una tardiva ma feroce nevicata. A Pavia finì anche peggio. Se a Piacenza i rivoltosi si dispersero da soli dopo qualche tafferuglio, lì i soldati fedeli al re aprirono il fuoco, e fu una carneficina. Dopo arrivò il processo, con i civili amnistiati per la presa di Roma e i militari spediti in qualche oscura fortezza. E poi la rimozione, poiché la notizia rovinava il nuovo ottimismo figlio della capitale redenta.


Però questa vicenda riscoperta da Milani aiuta a vedere un'Italia diversa, più inquieta e sotterranea di quanto la si immagini.

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