Come spiegare Olivetti tradendo il suo pensiero

È davvero singolare che le opere fondamentali di Adriano Olivetti (1901-60), imprenditore e intellettuale unico nel Novecento, ripubblicate dalle Edizioni di Comunità, vengano introdotte da personalità della cultura che non comprendono affatto la portata sovversiva della sua riflessione. Non sappiamo dire il motivo di tale scelta, ma certo è imbarazzante leggere le pagine di Olivetti affiancate da illustri prefazioni di Salvatore Settis e Stefano Rodotà i quali lo fraintendono in pieno.
Adriano Olivetti, già dal suo manifesto L'Ordine politico delle Comunità del 1945 o in Società Stato Comunità, ha teorizzato, con un'ineguagliata capacità visionaria, un modello di società che scompagina l'esistente: «Noi chiediamo in tutta Italia la costituzione di nuove unità organiche politiche e amministrative: le Comunità concrete»; «Nella società delle Comunità si considerano autonome e indipendenti sia le attività individuali, sia quelle collettive: così la Scienza dovrà progredire attraverso l'opera di Università libere, l'Arte vi è parimenti indipendente, le organizzazioni economiche si costituiscono in complessi autonomi aventi statuto giuridico differenziato, i sindacati sono organizzati dal basso fuor da qualsiasi intervento o influenza statale».
Lo Stato è un impercettibile perimetro sullo sfondo. Dunque che cosa c'entra l'introduzione di Settis al volume uscito di recente Il cammino della Comunità (pagg. 72, euro 6)? Settis non intuisce la forza decentralizzante dell'opera su cui ha scritto: la sua introduzione è incardinata sulla Costituzione italiana (ma essa è stata criticata da Olivetti) e sui beni comuni (ma i beni comuni per l'imprenditore-autore sono decisi e difesi dalle comunità, non dallo Stato, che «è troppo lontano fisicamente e moralmente dai nostri problemi»). La distanza è quindi abissale.
E che cosa c'entra la prefazione di Rodotà alla riedizione del libro Democrazia senza partiti (pagg. 80, euro 6)? È vero, come scrive Rodotà, che le comunità sono la sede dell'elaborazione politica, ma tali comunità non si costituiscono per promuovere, come vuole il giurista, una volenterosa partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, bensì qualcosa di ben più radicale. Dice infatti Olivetti: «la Comunità sarà un valido e nuovo strumento di autogoverno». Ovvero lo Stato può non servire più.


Dunque, perché far introdurre questo autore straordinario da chi gli è così lontano? Indubbiamente ogni operazione editoriale è legittima, ma se si vuole anestetizzare i libri di Olivetti riducendoli a semplici testi ispiratori della partecipazione civile, il risultato è assai discutibile.

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