Da Togliatti al Pd: l'inutile caccia alla Balena bianca

I complessi d'identità della sinistraIl sogno gauchiste di non morire democristiani non si è mai avverato. Ecco perché

Da Togliatti al Pd: l'inutile caccia alla Balena bianca

Il 28 giugno 1983, Luigi Pintor titolò un suo pezzo, apparso sul Manifesto, da lui fondato e diretto: «Non moriremo democristiani». Quello slogan divenne un oggetto di culto per la sinistra, rilanciato, per circa trenta anni, nelle riunioni di partito, nelle discussioni tra militanti, sulla stampa e nei talk shows, con la monotona insistenza di un mantra scaramantico. Poi il vento cambiò direzione. Luca Telese sul Fatto Quotidiano del settembre 2011 compose una commossa apologia di quella che Giampaolo Pansa aveva battezzato la Balena bianca, riconoscendo non solo la «sobrietà» di Moro e i meriti del Piano Casa di Fanfani (l'unico esempio di edilizia pubblica che questo Paese abbia conosciuto) ma persino i pregi di «pedagogo illuminato» dello scudocrociato Ettore Bernabei, alla guida della Rai per quasi un ventennio. «Non siamo morti democristiani, è vero - concludeva Telese - ma guardando come siamo finiti, dopotutto, sarebbe stato quasi bello».
L'avvento del governo Alfano-Letta (i due Dioscuri allevati in casa Dc) e il posizionarsi di un altro cattolico (Matteo Renzi) come cavallo vincente nella futura corsa alla presidenza del Pd hanno però raffreddato questi amorosi sensi. L'ipotesi di finire la propria esistenza in un regime neo-democristiano si è fatta concreta e ha prodotto scoramento nella sinistra. Dimostra questo sentimento il recentissimo volume di Giuseppe Vacca (Presidente dell'Istituto Gramsci) che s'intitola appunto: Moriremo democristiani? La questione cattolica nella ricostruzione della Repubblica (Salerno Editrice, pagg. 232, euro 13). Intendiamoci. Il volume di Vacca non è un instant-book ma un'opera meditata e di largo respiro con la quale l'autore cerca di ripercorrere i rapporti di profonda ostilità e ma anche di forte attrazione che i comunisti italiani e i loro odierni epigoni hanno nutrito verso il mondo cattolico, da Gramsci ai nostri giorni. Fu l'autore dei Quaderni del Carcere a sostenere che la fragilità dello Stato unitario del 1861 era dovuta alla mancata collaborazione dello spirito religioso che avrebbe potuto trasformare il popolo in nazione. Fu sempre lui ad affermare che il costituirsi dei cattolici in partito politico, nel 1919, poteva rappresentare «il fatto più grande della storia italiana dopo il Risorgimento». Con esso, osservava Gramsci, i vecchi schieramenti politici si sarebbero scompaginati e i Popolari, con la loro potente organizzazione di massa, avrebbero spazzato via il vecchio mondo liberale, le sue congreghe e le sue ristrette consorterie.
Parole profetiche, di cui Togliatti non fu capace d'intendere il significato, quando, con una grossolana semplificazione, definì la Dc «il partito dei padroni a servizio dei grandi interessi capitalistici che fu in grado di convincere milioni d'italiani ad agire contro i loro interessi», senza comprendere che la stagione politica di De Gasperi costituì un periodo di forte impegno riformatore. Restato «il nemico principale da battere» (Luigi Longo), durante gli anni del centro-sinistra, Piazza del Gesù divenne, infine, l'interlocutore privilegiato della sinistra con Berlinguer e la fase del compromesso storico.
Da questo momento iniziò la manovra comunista e post-comunista di fare del mondo cattolico una semplice costola della sinistra. Tentativo facilitato dalla rivoluzione giustizialista di Mani pulite, che fu bloccato in extremis dalla comparsa sulla scena politica di Berlusconi.

Quel tentativo continua oggi, con scarso successo. Come Moby Dick, nel romanzo di Melville, la “Balena bianca”, anche dopo la sua morte (vera o presunta), è ancora in grado di far precipitare negli abissi tutti i Capitani Achab.

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