Sono stato, a cavallo delladolescenza, un lettore accanito, forse con il difetto dun certo conformismo, ma con il pregio - se pregio è - duna notevole voracità. E non ho maturato, negli anni del ginnasio-liceo Parini, quellavversione ai testi classici, quelluggia per la letteratura ufficiale di cui tanti intellettuali parlano. Riconosco anchio, tanto per dirne una, certi limiti del Manzoni: ma ho sempre avuto per I Promessi sposi unammirazione sconfinata. Cera il fascismo, in quegli anni, eppure ripensandoci adesso maccorgo di quanto poco il regime abbia influito sulla mia formazione culturale. Qualche autore allora in voga - ad esempio Alfredo Panzini, che a me piaceva molto - faceva concessioni alla propaganda, ma erano poca cosa. Non maffascinava lo snobismo mondano di Lucio DAmbra, uno che andava per la maggiore. Inutile dire che conoscevo gli immancabili Cuore e Pinocchio (ma anche Verga, Fogazzaro, Pellico, lAbba de Le noterelle di uno dei mille e il DAnnunzio prosatore, oltre che il poeta). Tante poesie venivano mandate a memoria e ancora oggi posso passabilmente declamare i Sepolcri. Devo tuttavia confessare che le mie letture italiane erano in larga parte giornalistiche. Mi divertivo con la lettura del MarcAurelio, il settimanale satirico che demitizzava il fascismo senza averne laria.
Avevo scelto, per lingua straniera dinsegnamento, come allora faceva la maggioranza, il francese. Leggevo senza alcuna difficoltà i grandi romanzi francesi dellOttocento, molto Victor Hugo, molto Stendhal, molto Dumas padre, ma anche Flaubert.
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