Silvio Berlusconi non può e non deve dimettersi da premier adesso, non solo perché ciò sarebbe contro le leggi vigenti, di correttezza costituzionale, che comportano che le crisi di governo si decidono in parlamento, e non nelle piazze. Soprattutto ciò sarebbe contro le leggi economiche, che a differenza delle leggi di correttezza costituzionale, sono dotate di sanzioni, commisurate alla gravità delle violazioni. In questo caso, le dimissioni del capo del governo comporterebbero la interruzione della approvazione della legge di stabilità (sino a ieri chiamata legge finanziaria) per il triennio 2011-2013. Perciò una grave situazione di incertezza per le nostre finanze pubbliche e una caduta di credibilità del nostro debito pubblico, con effetti devastanti. La legge economica che verrebbe violata, votando contro la legge di stabilità, per far cadere il governo, è quella di equilibrio fra domanda ed offerta del nostro debito pubblico che il 115 % del Pil (Prodotto nazionale lordo). L’offerta di nuovo debito dello stato e di Regioni ed enti locali nel 2010 è il 5% del Pil, circa 75 miliardi. Ogni anno viene a scadenza un settimo del debito pubblico in essere, cioè altri 240 miliardi di euro. Sino ad ora la domanda ha assorbito tranquillamente questa enorme offerta, senza esigere tassi di interessi che la tutelassero da grandi rischi. Giulio Tremonti è riuscito a far funzionare la legge di equilibrio fra domanda eofferta del debito italiano, nonostante la sua dimensione e nonostante il deficit del 5% del Pil del 2010. Ciò perché, con il peso politico determinante di Silvio Berlusconi, Tremonti ha attuato una manovra finanziaria credibile e tempestiva, che comporta per il 2012 un deficit al 2,7% del Pil e un consistente «avanzo primario». Ossia un avanzo nel bilancio delle entrate e uscite al netto di quelle per interessi. Se c’è tale un avanzo, ciò vuol dire che una parte degli interessi sul debito esistente è pagato con le imposte. Così si riduce la spirale dei nuovi debiti fatti per pagare gli interessi dei vecchi e diminuisce il rapporto fra debito e Pil. Analogamente se una famiglia fa nuovi debiti per una cifra inferiore agli interessi sui vecchi debiti, si riduce il suo carico di debito, rispetto al suo reddito. Ho cercato di esporre con parole semplici il contenuto fondamentale della legge triennale di stabilità che è ora alla votazione in parlamento, per mostrare che essa serve a garantire ai sottoscrittori di nostro debito pubblico che il governo italiano è in grado di fare fronte agli impegni, perché nonostante la crisi, sta riequilibrando la finanza pubblica. Senza l’approvazione della legge di stabilità, viene violata la legge di equilibrio fra offerta e domanda del nostro debito pubblico. E la sanzione economica e finanziaria che ne consegue è gravissima, come si vede dai guai in cui si trovano Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda. Lo si vede anche dai tagli draconiani di spese che sta facendo il premier inglese Cameron, leader del governo di centrodestra per rimediare ai guai perpetrati dal premier laburista Gordon Brown, portando il deficit inglese allo 11% del Pil. Ora, dunque, passa al Fini e al suo nuovo movimento politico la responsabilità di mettere a repentaglio la legge di stabilità, con un no nella voto di fiducia, che prima o poi, il governo dovrà porre su questa legge o su suoi punti importanti. In particolare ciò si riguarda il contenuto dello ex decreto legge per lo sviluppo economico, che il governo trasforma in emendamento alla legge finanziaria. Tale emendamentocomporta nuove spese o riduzioni di imposte per 7 miliardi di euro, interamente coperti con nuove entrate che non danno aggravi alle famiglie e alle imprese, come di recupero di evasioni, tributi sul gioco eccetera. L’emendamento contiene la riduzione fiscale per i salari di produttività, nuovi fondi per l'Università in modo da varare la sua riforma, iniziative per il Mezzogiorno. Votando no, cadrebbero questi interventi, assieme al governo e alla legge di stabilità. Lo stesso effetto si avrebbe votando la sfiducia su una mozione riguardante i crolli di Pompei.
E il gruppo politico che si richiama a Fini si troverà non solo di fronte al bivio se dire sì o no a questo emendamento per far cadere il governo, ma anche a quello se sfidare o no la legge economica dell’equilibrio fra offerta e domanda relativa al nostro debito pubblico, con le drammatiche conseguenze che un atto irresponsabilmente intempestivo può comportare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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