La «diversità» del Pci era solo marketing

Carissimo dottor Granzotto, aspettavo da tempo che il ciclone magistratura investisse anche un membro della sinistra, e così alfine è avvenuto. Non voglio tornare sopra il già saputo, la fragilità dell’impianto d’accusa, il miserevole spessore di quelle che dovrebbero essere le prove a carico, eccetera. Ciò che mi preme dire è che pur trovandosi con le spalle al muro, costretta a manifestare solidarietà nei confronti di Clemente Mastella, la sinistra non si perita di procedere ad un distinguo. In buona sostanza, Mastella sarà pure innocente, deciderà la magistratura, ma a certe pratiche comuni in politica come piazzare nei vari posti uomini propri - quella che si chiama lottizzazione - lo zoccolo sano della sinistra non soggiace, perché la sinistra vera erede del Pci procede alle nomine solo in base alle competenze e non al colore politico, alla appartenenza a un’area o ad un clan. Ma chi l’ha inventata questa balla? Stalin?


No, caro Albertini, non Baffone, ma Enrico Berlinguer il quale, nel 1981, traendo dal cilindro la «questione morale» offrì al Pci una sponda che sostituisse quella, già in liquidazione, marxista-stalinista. «Per noi comunisti - disse rispondendo alle domande di Eugenio Scalfari - la passione non è finita. Ma per gli altri? I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, alcuni grandi giornali. (...) La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano». In quella occasione Berlinguer dettò anche il canone della «differenza antropologica» della sinistra: «Elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi. Primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. Secondo: noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata. Noi comunisti abbiamo sessant’anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguire e di fare sul serio queste cose». Bum.
Bisogna ammettere, onore al merito, che sotto il profilo del marketing quella di Berlinguer fu una trovata grandiosa. Quando, sette anni più tardi, venne giù il muro di Berlino, il popolo della sinistra poté infatti scrollarsi prontamente di dosso la polvere sollevata dalle macerie ripresentandosi lindo e pinto nei panni del sincero, «onesto» democratico, titolare della verità e del bene, antropologicamente predisposto ad una gestione etica della politica. Esemplarmente rappresentata - intendo dire la gestione etica della politica - dalla spontanea, sincera esclamazione: «Ma allora siamo padroni di una banca!» rivolta da Fassino a Consorte.

Altro che Ceppaloni.

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